La scossa di magnitudo 6.4, con epicentro a Petrinja, ha distrutto il centro della città. Il terremoto è stato avvertito in tutto il Paese, ma anche in Serbia, Bosnia-Erzegovina
Forte scossa di terremoto in Croazia. Dopo gli assestamenti di bassa intensità della nottata, nella tarda mattinata di oggi, 29 dicembre, è stato registrato un terremoto di magnitudo 6.4 con epicentro localizzato intorno a Petrinja, una cittadina a circa 50 chilometri a Sud di Zagabria. Il terremoto è stato avvertito in tutto il Paese, ma anche in Serbia, Bosnia-Erzegovina e sul versante adriatico dell’Italia.
Almeno sette vittime
Sono sette le vittime finora accertate e decine i feriti. Come riferito dai media regionali, ci sarebbero – tra questi – una ragazzina di 12 anni, un giovane di 20 anni e tre altri uomini, due dei quali padre e figlio. Sono morti sotto le macerie a Petrinja e in frazioni vicine. I media regionali parlano di gravi danni a Petrinja, con edifici crollati, interruzione di elettricità e linee telefoniche e centro storico distrutto. In tutto, le case e gli edifici pubblici danneggiati sono circa 2 mila.
Nella notte c’erano state altre scosse
Stanotte alcuni movimenti sismici di assestamento e di bassa intensità – di magnitudo 3.0/2.5 – si erano registrati tra Petrinja e Sisak. Ieri mattina, 28 dicembre, la zona era stata colpita da tre forti scosse di magnitudo 5.2, 4.7 e 4.1. Anche a Sisak hanno riportato danni il municipio e altri edifici pubblici, le linee telefoniche sono interrotte e l’erogazione di energia elettrica registra disservizi. Come ieri, anche oggi il terremoto è stato avvertito in gran parte del Nord-Est dell’Italia, ma anche in provincia di Ravenna e a Napoli, soprattutto nei quartieri settentrionali. A Bolzano e in Veneto diverse segnalazioni sono giunte ai Vigili del Fuoco, ma per il momento non si registrano né danni né feriti.
Scuola, i dubbi dei presidi: «Difficile ripartire il 7 gennaio». Gli appelli per vaccinare subito i docenti
29 Dicembre 2020 - 17:02 Redazione
«La ripresa del 7 gennaio, soprattutto per quanto riguarda le scuole superiori, presenta diverse criticità». I presidi, attraverso le parole del numero uno dell’associazione nazionale Antonello Giannelli, frenano sulla riapertura delle aule scolastiche, a nove giorni dalla data indicata per la ripartenza. Il problema principale riguarda la «mancata o insufficiente riorganizzazione dei trasporti che sta costringendo i prefetti a chiedere alle scuole di effettuare dei turni di entrata in orari scaglionati molto impegnativi». In particolare, far uscire da scuola i ragazzi alle 15 o alle 16, soprattutto per studenti pendolari, «comporterà un rientro a casa in orari che causeranno difficoltà sia alle famiglie che allo studio domestico».
Le criticità del rientro secondo i presidi
Anche il personale scolastico potrebbe subire le conseguenze negative di questa turnazione, nota Giannelli: «Si pensi a docenti di istituti tecnici o professionali il cui orario di lezione potrebbe iniziare alle 8 per terminare alle 16». I presidi, poi, chiedono una «maggiore gradualità nell’incremento della percentuale di studenti in presenza: solo una settimana al 50% è un tempo troppo limitato che non consentirà alle scuole di riorganizzare, per l’ennesima volta, l’orario».
Il ministero dell’Istruzione: «Il 50% in presenza? Nessuna deroga»
Dal ministero dell’Istruzione, su questo punto, le indicazioni sono chiare. Con una nota agli Uffici scolastici regionali, il capo dipartimento del ministero Marco Bruschi ha inviato oggi l’ordinanza del ministro della Salute del 24 dicembre scorso che rimodula la partecipazione delle didattica in presenza alle superiori al 50% sino al 15 gennaio. Con un commento annesso: «Ricordo che si tratta di disposizioni non derogabili», scrive il capo dipartimento del ministero.
Dal dicastero dei Trasporti, la ministra Paola De Micheli da parte sua chiarisce: «Tutti i modelli organizzativi devono essere pronti perché le scuole secondarie possano aprire in presenza al 75%», anche se il ministro della Salute Roberto Speranza «ha fatto un’ordinanza di natura sanitaria, che non ha a che vedere con i modelli organizzativi, e ha deciso per ragioni sanitarie che dal 7 al 15 la presenza sarà al 50%». «Quanto ai trasporti la presenza resterà al 50%», ha detto De Micheli.
Miozzo: «La scuola non è a rischio»
Sul rientro a scuola il 7 gennaio, si registra anche l’intervento del coordinatore del Comitato tecnico scientifico (Cts) Agostino Miozzo, che cita un recente studio del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie: «Un documento illuminante che ha studiato l’evoluzione della pandemia nell’ambito scolastico in tutti i paesi dell’Ue – spiega Miozzo – e dice che la scuola non è un ambito a rischio, i rischi di diffusione della pandemia sono assolutamente irrilevanti». Per Miozzo non ci sono «problemi insormontabili per la riapertura. Ci sono difficoltà organizzative in alcune zone, come i trasporti e l’impiego del personale in orari eccedenti a quelli previsti, ma sono aspetti che possono essere risolti, e c’è tutta la volontà di risolverli».
La Cisl chiede di vaccinare i prof impegnati alla Maturità
In questo quadro, si inserisce infine la richiesta da parte della Cisl di vaccinare contro il Covid-19 i professori impegnati nell’esame di Maturità: «Nel piano delle vaccinazioni bisogna da dare priorità innanzitutto ai docenti che devono fare gli esami di Stato, per garantire che l’esame di maturità sia in presenza. Bisogna programmarlo da subito», ha detto Maddalena Gissi, che guida la Cisl Scuola. «Abbiamo visto con dispiacere che tra gli esami di Stato dello scorso anno e quelli di quest’anno c’è un investimento di 9,5 milioni in meno per le sanificazioni e la gestione dell’esame in presenza. Si tratta di un depotenziamento».
Sulla stessa lunghezza d’onda Elvira Serafini, segretario dello Snals: «I docenti, il personale Ata e il mondo della scuola si trovano in trincea: hanno un contatto continuo con una platea vasta che, tornando poi a casa, porta a passeggio il virus. Consideriamo tutto il mondo dell’istruzione a rischio e adoperiamoci per permettere subito a questi lavoratori di vaccinarsi: in primavera è troppo tardi».