Monoclonali italiani, la biologa del team di ricerca : «Il nostro anticorpo funziona anche in piccole dosi» – L’intervista

La ricercatrice Claudia Sala, membro del Monoclonal Antibody Discovery (Mad) Lab di Rino Rappoli, illustra a Open il farmaco italiano che potrebbe ridurre gli alti costi della cura monoclonale

L’Aifa ha dato il via libera all’utilizzo, l’Europa attende Ema per lo stesso verdetto e c’è già chi parla di una nuova boccata d’ossigeno nella lotta al Covid. Eli Lilly e Regeneron sono le aziende che producono i due costosi anticorpi monoclonali su cui potremo contare a caro prezzo e soltanto per uso emergenziale. Ma l’Italia è già in azione da mesi per una sperimentazione che potrebbe aiutarci anche a livello economico. Claudia Sala fa parte di questo importante team: biologa, esperta in malattie infettive, vaccini e microbiologia molecolare, è al lavoro con il noto dottor Rino Rappuoli, coordinatore del Monoclonal Antibody Discovery (Mad) Lab.


Nei laboratori della Fondazione no profit Toscana Life Sciences (TLS) di Siena, la dottoressa Sala lavora con altri 17 colleghi, tra immunologi, biologi, informatici, nella sperimentazione della cura anti Covid. «L’età media è di 35 anni, tutte persone con background differenti per garantire la più ampia copertura di competenze possibile», spiega la ricercatrice.


Il team di ricerca del MAD Lab di Siena

Dottoressa, tra varianti in circolo e vaccini che tardano ad arrivare, la popolazione ha fame di cure. Cosa sono gli anticorpi monoclonali e a che punto siete della ricerca?

«Proviamo a scomporre le due parole. Gli anticorpi, come forse è più noto, sono delle proteine prodotte in modo del tutto naturale dal nostro organismo in risposta ad una infezione. Perché vengono chiamati monoclonali? Perché sono prodotti da una clonazione di cellule uguali, da qui “mono”. Esistono nell’organismo delle cellule altamente specializzate nella difesa, si chiamano linfociti B. Se li facciamo proliferare formeranno un piccolo clone, composto da un insieme di cellule tutte dello stesso tipo. Ecco, questo insieme produrrà lo stesso anticorpo della cellula B nominata prima. Questi monoclonali hanno una specifica capacità nel difendere l’organismo da SARS-Cov-2 e potrebbero diventare dei farmaci da somministrare a chi è infetto e aiutarlo a guarire”.

Quando potremo avere le prime dosi del farmaco italiano?

«Per quanto ci riguarda, avendo ottenuto l’autorizzazione a procedere, sarà questione di giorni. Dopodiché l’iter andrà avanti con il trial clinico da effettuare sull’uomo, fino ad un’autorizzazione per uso d’emergenza che prevediamo possa avvenire in primavera. Quello che speriamo è di continuare a registrare gli stessi risultati ottenuti finora».

Quali risultati avete avuto finora?

«Circa un anno fa, quando fu scoperto il primo caso di Covid a Codogno e l’Italia cominciava a conoscere l’epidemia, abbiamo deciso di convertire la nostra ricerca e le nostre forze sui monoclonali procedendo con una sperimentazione in vitro. Quello che ad oggi abbiamo scoperto è un anticorpo monoclonale estremamente potente. In vitro ha una potenza di inattivazione del virus molto forte: la concentrazione di farmaco necessario per stoppare l’infezione è bassissima, si parla di 1 milionesimo di milligrammo per dose. Senza andar troppo nello specifico, è intuibile quanto questa cifra corrisponda a una quantità davvero minima e quanto l’anticorpo quindi sia potente».

La biologa e ricercatrice Claudia Sala

Questo potrebbe aiutare anche ad abbassare i costi? Una delle note più dolenti della nuova cura è che costa molto, si parla di 2mila euro a dose

«Direi di sì. Facendo l’ipotesi di due farmaci a confronto utili a curare la stessa malattia: se del farmaco A ne serve una quantità pari a 10 e del farmaco B una quantità pari a 1, il rapporto 1:10 si tradurrà inevitabilmente anche nei costi. Quello che dovrò pagare per produrre, commercializzare e somministrare il farmaco B sarà molto meno. Lo stesso succederà per i monoclonali, al momento molto cari soprattutto per i costi di produzione. Se i nostri dati attuali venissero confermati anche nel prossimi trial, la dose necessaria per avere degli effetti clinici sarà minore rispetto a quella necessaria per i farmaci attualmente in commercio, e così anche il prezzo.

Possibile già fare una stima sul costo?

«Difficile».

Quello che ci si aspetta, almeno dai dati attuali, è dunque un farmaco potente che anche in piccolissima quantità sarebbe in grado di inibire, nella prima fase dell’infezione, l’aggravarsi della malattia. E sulle varianti? Il fallimento delle americane Eli Lilly e Regeneron sulle mutazioni è stato per gli esperti una doccia fredda …

«Per quanto ci riguarda posso dire con certezza che il nostro candidato anticorpo monoclonale funziona contro la variante cosiddetta inglese, perché lo abbiamo testato. Sulle altre mutazioni ci sono studi in corso, un lavoro che considerata la preoccupazione a riguardo non può essere trascurato.

Quello degli anticorpi statunitensi non lo definirei ancora un fallimento. Dopo la notizia diffusa di una inefficacia sulle varianti, Regeneron ha fatto sapere che i suoi anticorpi funzionano contro quella inglese e sudafricana. Mi sento di essere ottimista».

Vaccini e monoclonali, che rapporto dovrà esserci? Saranno farmaci da poter prendere in concomitanza?

«Non ci sono al momento controindicazioni anche se fondamentale sarà la valutazione del caso specifico da parte del medico. È bene comunque sapere che la protezione a lungo termine garantita dal vaccino non potrà essere assicurata dal monoclonale, il cui effetto durerà dai 4 ai 6 mesi. A differenza del vaccino che, come sappiamo, richiede settimane prima di raggiungere la maturità dell’efficacia, l’anticorpo monoclonale farà effetto invece subito».

Momenti di sperimentazione nel MAD Lab di Siena

In che modo ci verranno somministrati questi anticorpi? E a che punto dell’infezione potremmo prenderli?

«Gli anticorpi finora conosciuti prevedono una iniezione endovenosa. Il passo avanti che faremo con la nostra sperimentazione è quello di poter garantire una somministrazione intramuscolare, decisamente più agile e non bisognosa in maniera esclusiva dell’ambiente ospedaliero. Riguardo al momento in cui somministrarli, gli studi finora pubblicati attestano un’efficacia nella prima fase di malattia, quando i sintomi sono lievi e rischiano potenzialmente di aggravarsi. E poi c’è la funzione preventiva, attestata e da non sottovalutare. Aspetteremo di poter verificare le stesse informazioni anche nei nostri trial».

Dottoressa, sarà davvero la svolta per la cura del virus in casa?

«Credo che la soluzione venga da più parti, i vaccini continuano ad essere una bellissima notizia. Gli anticorpi sono sicuramente un’ottima strada da percorrere insieme a tutte quelle che la scienza ci sta offrendo con uno sforzo eccezionale».

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