I riformisti del Pd rilanciano, Alfieri: «Facciamo partire il governo Draghi, subito dopo il partito deve fare un congresso» – L’intervista
Non sono indiscrezioni, ma segnali lanciati apertamente alla segreteria di Nicola Zingaretti: la linea seguita del Partito democratico va bene per queste giornate di instabilità, ma subito dopo occorrerà discutere della gestione del partito e della leadership. A dirlo, è un folto gruppo di iscritti. Il primo a uscire allo scoperto è stato il senatore Tommaso Nannicini: «Il Pd ha gestito questa fase con qualche timidezza di troppo. Troppo appiattiti su Conte. Ora serve un congresso».
Oggi, Base riformista, componente del partito che conta 20 senatori e 30 deputati, assume una posizione ufficiale: «Facciamo partire il governo Draghi, subito dopo il Pd deve fare un congresso». Lo dichiara a Open Alessandro Alfieri, coordinatore della corrente guidata dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini e Luca Lotti.
La linea data da Zingaretti, durante le consultazioni al Quirinale, era «o Conte ter o voto». Adesso, invece, la linea è cambiata e ci si stringe tutti intorno a Draghi. È un segno di debolezza della segreteria del Pd?
«Se avessimo iniziato a parlare delle subordinate, queste avrebbero schiacciato la via in quel momento principale. I processi politici vanno vissuti fino in fondo. Noi, nella prima fase della crisi, abbiamo creduto davvero di poter andare con Conte. Quella fase, però, si è esaurita e adesso se n’è aperta un’altra indicata dal presidente della Repubblica».
Di un governo Draghi, però, parlate con entusiasmo, non come se fosse la vostra seconda scelta.
«Draghi è una figura riconosciuta a livello internazionale e con lui si può disegnare l’Italia del futuro perché ci dà credibilità in Europa. Per riuscire, il governo Draghi deve avere una forte base europeista perché gli interessi strategici italiani, anche il presidio del Mediterraneo, dipendono dalla forza dell’Europa. Alla base parlamentare europeista, però, deve corrispondere anche un governo di profilo politico: non ci deve essere la scissione tra parlamento ed esecutivo altrimenti il governo è debole».
Parla di base parlamentare europeista: quindi il Pd esclude una partecipazione della Lega al governo?
«Il perimetro lo decide il presidente incaricato. È chiaro che il programma deve essere europeista: se il tessuto economico produttivo del Nord Italia riesce a incidere in profondità sulla leadership leghista, facendo abbandonare alcune battaglie storiche del sovranismo, io penso che ne guadagni tutto il sistema politico. Adesso c’è la possibilità di mettere ai margini i veri sovranisti».
La XVIII legislatura ha mostrato che tutto è possibile in politica, stiamo discutendo di una maggioranza di cui fanno parte Lega e Pd. Non crea imbarazzi nella sinistra?
«Sia chiaro, resto scettico: conosco le battaglie di Borghi e Bagnai. Ricordo le magliette di Salvini con scritto “no euro”, ma nella vita si può sempre cambiare. Fanno fede i programmi che si condividono e si firmano. E il Pd, in un anno e mezzo, ha dimostrato di poter accompagnare in un processo di maturazione persino i 5 stelle. Abbiamo assistito a una vera trasformazione: l’anima più populista veniva esasperata dal matrimonio con i sovranisti della Lega. Quell’anima populista è stata depotenziata grazie al lavoro al fianco del Pd e i 5 stelle hanno maturato una posizione più pragmatica: è una fase storica, in cui assistiamo alla trasformazione da movimento politico a soggetto politico in grado di portare a pronunciare parole importanti due figure autorevoli come Conte e Di Maio».
Alcuni membri del Pd e, per il momento, l’ha fatto apertamente soltanto il senatore Nannicini, invocano il congresso. Quali tensioni stanno coinvolgendo la segreteria?
«C’è chi ritiene che l’alleanza con i 5 stelle, guardando a Conte come punto di riferimento, debba essere strutturale. Altri ritengono che l’accordo con i 5 stelle debba essere temporaneo, perché ci sono dei valori di fondo troppo diversi. Proviamo ad andare oltre questa dicotomia: se pensassimo al Movimento che durante il governo gialloverde andava dai gilet gialli, cadremmo in errore; c’è stata, lavorando con noi del Pd, un’evoluzione che ha portato i 5 stelle a una più chiara scelta europeista e atlantica, alla modifica dei decreti sicurezza. Da movimento, ripeto, i 5 stelle sono diventati soggetto politico protagonista di una fase così complicata, pur manifestando ancora alcune contraddizioni. Sui rapporti futuri con i 5 stelle dobbiamo tenere conto di questa evoluzione e avviare una riflessione anche all’interno del Pd».
Usa la parola “riflessione” come eufemismo di “congresso”?
«Adesso la priorità è mettere in sicurezza il Paese e farlo ripartire nel modo migliore, con un governo che si appoggi su un’alleanza europeista e che duri fino a fine legislatura. Non si può mettere una data di scadenza a Draghi, come chiede la Lega. Questa è la priorità e il Pd, adesso, deve essere compatto. Una volta formatosi il governo, non si può nascondere la necessità di avviare una riflessione: il quadro politico è stato stravolto rispetto all’ultimo congresso, quando eravamo all’opposizione di un sovranismo imperante, comandato da Salvini e con la sponda di Trump alla Casa Bianca. Subito dopo l’insediamento di Draghi, il Pd dovrà far partire una discussione al suo interno».
Una discussione, quindi, non un congresso?
«Faccio ovviamente riferimento a una discussione di rango congressuale. Come Base riformista pensiamo che adesso la priorità sia la partenza del governo Draghi. Solo dopo discuteremo le modalità con cui avviare questa discussione fondamentale per definire al meglio il ruolo del Pd nella nuova fase politica».
Ritenete il congresso importante per cambiare la segretaria del partito?
«Zingaretti ha fatto un ottimo lavoro ed è riuscito a tenere unito il partito facendo sintesi nelle fasi cruciali della crisi di governo, anche a fronte di uscite che esasperavano il ricorso al voto come unica soluzione in caso di mancato accordo. Piuttosto, avviato il nuovo governo, dovremo approfondire il nostro rapporto con i 5 stelle. Vanno affrontate le difficoltà e riconosciute le differenze se si vuole costruire un progetto di futuro insieme. Serve la fatica della politica che riconosca e componga le diversità, non la ricerca di una scorciatoia ideologica che ci schiaccia su formule predefinite».
Per il rapporto con Italia Viva, invece, non c’è più spazio di discussione?
«Sono sempre molto laico e non mi faccio guidare dai risentimenti. È evidente che le modalità usate da Matteo per scatenare la crisi hanno lasciato una ferita. Dopodiché, penso che non si possano mettere veti alla partecipazione al governo Draghi, quindi non saremo noi a dire che Italia Viva non entrerà al governo. Ci vorrà del tempo per superare quello che è successo. So che molti parlamentari di Italia Viva vivono un travaglio interiore per la rottura del rapporto con noi e io ho rispetto per chi prova dolore. Per questo, spero che si possa lavorare bene anche con loro per un percorso europeista del governo Draghi, senza dimenticare gli errori che hanno fatto».
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