Congo, parla il testimone: «Attanasio e Iacovacci uccisi dai sequestratori». Il carabiniere cercò di salvare la vita all’ambasciatore

Le testimonianze raccolte dai carabinieri del Ros nell’ambito dell’indagine della Procura di Roma confermano che l’ambasciatore e il carabiniere Vittorio Iacovacci sarebbero morti nel corso di un agguato

L’indagine nella morte dell’ambasciatore italiano in Congo Luca Attanasio, ucciso insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e al loro autista in un agguato il 22 febbraio, conferma quanto era stato ipotizzato in un primo momento: i due sarebbero morti durante un conflitto a fuoco con un gruppo armato che voleva sequestrare l’ambasciatore. Così avrebbero riferito ai carabinieri del Ros i testimoni oculari, tra cui il vicedirettore del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Pam) Congo Rocco Leone, sentiti in una missione durata cinque giorni a Kinshasa su disposizione della Procura di Roma.


Ma, a differenza da quanto emerso dalle autopsie svolte a Roma, non si è trattata di una esecuzione e Iacovacci sarebbe morto nel tentativo di salvare l’ambasciatore. Secondo quanto riferito da Rocco Leone, il carabiniere è intervenuto per tentare di portare via l’ambasciatore dalla linea del fuoco nella sparatoria avvenuta tra i sequestratori e i Rangers che erano intervenuti in soccorso del funzionario italiano.


Le indagini e i punti ancora da chiarire

L’identità degli uomini responsabili per il sequestro non è ancora nota. Gli inquirenti infatti starebbero valutando una terza missione da parte del Ros nella zona di Goma, dove si trovava il convoglio su cui viaggiava l’ambasciatore Attanasio al momento dell’attacco, per acquisire ulteriori elementi sulla dinamica della sparatoria. La Procura di Roma ipotizza il reato di omicidio colposo oltre al tentativo di sequestro con finalità di terrorismo e i pm avrebbero inviato una rogatoria internazionale in Congo ai fini di ottenere gli atti di indagini svolti fino ad ora dalle autorità africane.

L’altro filone delle indagini riguarda invece le mancate precauzioni adottate non soltanto dalle autorità africane ma anche dalla Farnesina e dai funzionari del Pam nell’organizzazione della missione. Rimane da chiarire, per esempio, chi ha deciso di non richiedere che la delegazione fosse scortata o che aveva bisogno di viaggiare su veicoli blindati, nonostante la strada su cui sono morti Attanasio e Iacovacci – la RN2 – sia notoriamente pericolosa. È lì che, per esempio, ha trovato la morte anche il procuratore congolese che indagava a sua volta sull’uccisione dell’ambasciatore (sono tre in totale le inchieste: italiana, congolese e una avviata dal Dipartimento per la sicurezza delle Nazioni Unite).

Secondo il ministero congolese dell’Interno né i servizi di sicurezza né le autorità locali sarebbero state a conoscenza della trasferta di Attanasio nonostante l’ambasciatore avesse avvisato in un primo momento le autorità locali, come rivelato in un documento emerso nelle scorse settimane. In questo ambito potrebbe risultare utile l’analisi del tablet dell’ambasciatore trovato sul fuoristrada su cui viaggiava ed ora in mano agli inquirenti italiani.

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