Il lockdown riduce davvero l’inquinamento? Ecco la verità (parziale) su un tema complesso

Ruggero Rollini, divulgatore scientifico per SuperQuark+, ci spiega l’impatto delle chiusure totali sull’inquinamento

Il lockdown ha ridotto l’inquinamento? È una semplice domanda che fatica a trovare risposta. O meglio, interrogando Google, di risposte se ne trovano tantissime, molto diverse, forse antitetiche, alcune giuste, altre sbagliate e talvolta tendenziose. Non è facile dire chi abbia ragione. Soprattutto perché la domanda non ha senso. Più che altro è il concetto di inquinamento a non avere senso. Intendiamoci, la parola inquinamento è molto utile, generalmente intuitiva e aiuta a capirsi; in questo caso, però, confonde solo.


Per capire l’impatto delle misure restrittive contro la Covid19 è molto più utile parlare di inquinanti. Vi prometto che l’aggiunta di questa complessità, renderà la questione più chiara. Per semplicità, prenderò in considerazione solamente tre delle principali classi di inquinanti atmosferici: gli ossidi di azoto (NOx), le polveri sottili (PM10 e PM 2,5) e i gas serra (in particolare l’anidride carbonica, CO2). Proverò, spero dignitosamente, a riassumere quale sia il consenso scientifico sull’impatto che le misure di lockdown hanno avuto su questi inquinanti. Partiamo dal più semplice per arrivare al più complesso.


Il lockdown ha ridotto gli NOx?

La risposta breve è “sì” e ne siamo ragionevolmente certi. Prima però fatemi fare un passo indietro. Cosa sono gli NOx? Quando parliamo di NOx ci riferiamo a due composti in particolare: il monossido di azoto NO e il diossido di azoto NO2. Sono composti che si formano tipicamente durante la combustione e la loro principale fonte in atmosfera è il traffico veicolare (responsabile in Europa del 39% delle emissioni totali di NOx). La ragione è intuitiva: se si formano durante la combustione, ogni automobile è una fonte ambulante di ossidi di azoto.

Ci stanno antipatici per una serie di motivi: sono tra i precursori delle piogge acide, reagiscono in atmosfera a dare altri inquinanti atmosferici e possono causare gravi problemi alle vie respiratorie. L’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) stima che in Italia nel 2018 ci siano state circa 10400 morti premature dovute all’esposizione al diossido di azoto. Fortunatamente hanno una breve vita in atmosfera e, reagendo, vengono abbattuti in meno di un giorno dalla loro emissione. Questo ci dice anche che non si possono spostare troppo dalla fonte che li ha emessi prima di scomparire. Non a caso, a parità di condizioni metereologiche, misuriamo maggiori concentrazioni di NOx nelle città più trafficate e nelle stazioni di rilevamento vicino alle principali arterie stradali.

Quindi? Che impatto ha avuto il lockdown su questi inquinanti? Li ha ridotti, anche di parecchio. Questo ce lo dicono sia i dati satellitari della Agenzia Spaziale Europea tramite il satellite Copernicus Sentinel-5P che monitora le concentrazioni di inquinanti lungo tutta l’atmosfera, che i dati delle centraline sparse per il territorio italiano ed europeo. In Italia, durante la prima chiusura, il biossido di azoto ha subito una riduzione media del 40%, raggiungendo picchi del 70% vicino alle zone tipicamente più trafficate. La principale causa di questa riduzione sembra proprio essere una riduzione del traffico veicolare durante le chiusure.

Il lockdown ha ridotto le polveri sottili?

Questa volta la risposta è meno chiara: forse un pochino. Ma prima capiamo cosa sono le polveri sottili, da dove vengono e cosa vogliono da noi. Le polveri sottili sono particelle di varia composizione, solide o liquide, di piccole dimensioni, sospese in aria. Probabilmente avete già sentito parlare di PM10 e PM 2,5. Sono i nomi di battaglia di queste particelle. I PM10 sono particelle di diametro inferiore ai 10µm (un centomillesimo di metro!), mentre i PM 2,5 sono particelle di diametro inferire ai 2,5 µm (tanto piccole che se potessimo prenderle e metterle in fila una di fianco all’altra, ne servirebbero almeno 400 per fare un solo millimetro).

La loro pericolosità per la salute umana è causata proprio dalle loro minuscole dimensioni. Più sono piccole e più si insinuano in profondità nelle vie respiratore, danneggiandole e compromettendone il funzionamento. Le polveri sottili sono state associate all’insorgenza di diverse malattie cardiopolmonari, dall’infarto al cancro al polmone. Si stima che nel 2018, in Italia, le morti premature dovute all’esposizione ai PM 2,5 siano state 52300. Sono numeri decisamente inquietanti.

La principale fonte di polveri sottili in tutta Europa è il riscaldamento domestico, aziendale e pubblico (responsabile, secondo l’EEA, del 41% delle emissioni di PM10 e del 54% del PM 2,5 in Europa). Nello specifico, le fonti più micidiali di questi inquinanti sono i vecchi impianti di riscaldamento e le vecchie stufe a legna e caminetti. In questo caso, il traffico non gioca più il ruolo principale (contribuendo per il 10% e 11%) e non possiamo quindi applicare lo stesso ragionamento fatto per gli NOx. Da un lato, può essere che, stando a casa, si siano tenuti più accesi i riscaldamenti.

Dall’altro, un marzo particolarmente caldo, potrebbe aver mitigato questo effetto. In questo caso, non è immediato trarre delle conclusioni sull’andamento delle polveri sottili. Sempre secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente, in Italia abbiamo registrato una riduzione del 40% dei PM10 nelle zone più trafficate, mentre le stazioni che ne registrano le concentrazioni di background hanno misurato un calo medio più ridotto, di circa il 20%.

Ciò nonostante, dobbiamo essere molto cauti a parlare “effetto lockdown” in questo caso. La mancanza di una giustificante preponderante (come il traffico per gli NOx), l’importanza delle condizioni metereologiche e il contributo importante delle fonti naturali e secondarie complicano un po’ la situazione. Serviranno altri studi – e un po’ di tempo – per poter parlare con ragionevole certezza di una riduzione delle polveri sottili dovuta al lockdown. E, nel caso, difficilmente sarebbe significativa.

Vi faccio un esempio di come sia complicata la situazione delle polveri sottili. A fine marzo le centraline di rivelazione del PM10 hanno registrato un picco impressionante. Si sono registrate concentrazioni superiori ai 100 µg/m 3 , oltre il doppio del limite di 50µg/m 3. Eppure, eravamo in pieno lockdown. Da dove arrivavano tutte queste particelle? Dal mar Caspio. Sabbia e terra, sollevate dal vento che soffiava da oriente, che hanno raggiunto la nostra penisola e si sono incuneate in Pianura Padana, bloccate dalle Alpi.

Il lockdown ha ridotto i gas serra?

Sì, ma anche no. Tra poco sarà più chiaro, spero. I gas serra sono delle specie chimiche gassose (vapore acqueo, anidride carbonica, metano, protossido di azoto…) che danno origine all’effetto serra, cioè quel fenomeno per cui parte del calore in uscita dal nostro pianeta viene trattenuto da alcune molecole e rispedito sulla Terra. Eliminiamo subito un probabile fattore confondente: l’effetto serra non è un male. Anzi, senza l’effetto serra non esisterebbe la vita per come la conosciamo oggi.

Infatti, se immaginassimo di eliminare tutti i gas serra dall’atmosfera la temperatura media sul nostro pianeta non sarebbe di circa 15°C ma di -18°C e gli sbalzi di temperatura sarebbero ben più intensi di quelli a cui siamo abituati. Il problema è l’aumento incontrollato dell’effetto serra. Da quando durante la rivoluzione industriale abbiamo iniziato a bruciare combustibili fossili (carbone, petrolio, metano…) per produrre energia, sempre più gas serra (in particolar modo CO2) si sono accumulati in atmosfera a un ritmo maggiore di quanto il nostro pianeta sia in grado di compensare.

Questo ha causato un aumento delle temperature medie terrestri e conseguentemente, a cascata, la fusione incontrollata dei ghiacciai, l’incremento e inasprimento degli eventi metereologici estremi, la desertificazione di larghe porzioni del pianeta, l’innalzamento dei mari, l’esodo di migliaia di migranti climatici costretti a spostarsi dalle loro terre e la maggiore esposizione a nuovi patogeni. L’unica buona notizia è che anidride carbonica e metano non causano danni diretti sulla salute. Una magra consolazione, vista la pletora di danni indiretti che vi ho solo parzialmente citato.

Da dove arrivano questi gas serra? In Italia, i principali responsabili delle emissioni di gas serra in atmosfera sono la produzione e il consumo di energia e il trasporto (essenzialmente i settori in cui direttamente o indirettamente si bruciano combustibili fossili). Durante il lockdown c’è stata una minore richiesta energetica, una ridotta attività industriale e anche il traffico si è ridotto. Questo – ragionevolmente – deve aver fatto diminuire le emissioni di gas serra.

I dati ce lo confermano: secondo l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) nel 2020 le emissioni di gas serra italiane sono calate del 9.2% rispetto al 2019. Per darvi un termine di paragone, dal 2018 al 2019 il calo era stato solo del 2,8%. Quindi è lecito pensare che l’effetto lockdown abbia giocato un ruolo importante in questa riduzione. L’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) sembra confermare questa ipotesi.

In un report pubblicato a ottobre 2020 si stimava una riduzione della domanda energetica del globale del 4%, con un conseguente calo delle emissioni di CO2 del 5,8% da parte del settore energetico. Ad aprile, con tanti Paesi nel mondo in lockdown, questa riduzione ha raggiunto un picco del -14,5%. Fin qui sembra tutto semplice. Forse ancora più semplice di quanto abbiamo detto per gli NOx.

Eppure, le concentrazioni di anidride carbonica in atmosfera sono aumentate, passando dalle circa 413 ppm (parti per milione) di inizio 2020 alle 415 ppm di inizio 2021. Com’è possibile che, nonostante ci sia stato un calo delle emissioni, le concentrazioni in atmosfera siano aumentate? Diversamente dagli NOx , che abbiamo visto sopravvivere per circa un giorno, l’anidride carbonica può rimanere in atmosfera per decenni (o addirittura secoli). Quindi, anche se le emissioni sono diminuite, questa ha comunque continuato ad accumularsi.

È come se avessimo un lavandino con lo scarico un po’ intasato, il rubinetto aperto e il livello dell’acqua che sale. Con il lockdown abbiamo solamente ridotto il flusso dell’acqua, ma non a sufficienza perché lo scarico possa compensare la quantità di acqua in entrata. Allo stesso modo, abbiamo ridotto le emissioni di anidride carbonica, ma non abbastanza perché la sua concentrazione smettesse di aumentare. Questo suggerisce anche quanta lungimiranza sarà necessaria per affrontare la crisi climatica che stiamo vivendo, dovuta proprio ai gas serra.

Inquinante che scegli, narrazione che trovi

In sostanza, che impatto ha avuto il lockdown sull’inquinamento? Dipende. Gli NOx sono diminuiti, le polveri sottili sono – forse – diminuite un pochino e le emissioni di gas serra sono diminuite, ma le concentrazioni in atmosfera sono aumentate. Il grosso problema, prevalentemente comunicativo, sta nel gettare tutte le considerazioni che abbiamo fatto nel grosso calderone dell’inquinamento. Dopo quanto ci siamo detti, è semplice capire come sia possibile, scegliendo accuratamente l’inquinante, affermare che il lockdown abbia ridotto, aumentato o lasciato invariato l’inquinamento.

Se uno volesse, potrebbe prendere il picco di polveri sottili di fine marzo (quello del mar Caspio) e dire che le auto non inquinano. Del resto, il traffico era fortemente ridotto, ma l’inquinamento (da polveri sottili) era altissimo. Prendendo invece in considerazione solo gli ossidi di azoto, si potrebbere tranquillamente demonizzare l’automobile come causa di ogni male e parlare del lockdown come della panacea per l’inquinamento. Insomma, inquinante che scegli, narrazione che trovi.

Una buona prassi per difendersi da queste strumentalizzazioni è proprio quella di prendere un bel respiro e chiedersi: “Di che inquinante stiamo parlando? Quali sono le sue fonti? Cosa dicono davvero i dati? E gli altri inquinanti?”. La scienza ci insegna che, a volte, accettare e abbracciare la complessità rende tutto molto più chiaro.

Fonti dell’articolo

Ruggero Rollini, classe 1996 e laureato in chimica, è un comunicatore della scienza e dal 2019 collaboratore del programma SuperQuark+ per RaiPlay. Si occupa in particolare di chimica e sostenibilità.

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