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La doppia morale dell’Ue sui diritti umani: sanziona la Cina, ma si prepara a stringere nuovi accordi con Erdogan

Mentre con una mano l'Ue punisce la repressione degli uiguri nello Xinjiang, con l'altra si tiene stretta il leader turco, in attesa di rinnovare l'accordo sui migranti del 2016

Sono passati oltre 30 anni dal massacro di piazza Tienanmen, quando nella notte tra il 3 e il 4 giugno 1989 il governo cinese represse nel sangue la protesta di lavoratori e studenti che chiedevano riforme democratiche ed economiche. Per la prima volta da allora l’Occidente – l’Unione europea insieme al Regno Unito, Stati Uniti e Canada – torna a sanzionare Pechino, questa volta per i campi di internamento in cui sono reclusi centinaia di migliaia di uiguri nella regione dello Xinjiang. Per gli Stati Uniti e il Canada si tratta di «genocidio». Già a dicembre 2020 il Parlamento europeo aveva approvato un testo unico sulla repressione della minoranza musulmana e turcofona nei centri educativi e nei campi di lavoro forzato. «Un coordinamento perfetto», ha commentato in conferenza stampa l’Alto rappresentante dell’Ue Josep Borrell dopo il via libera dei ministri degli Esteri europei.

Le sanzioni e la risposta cinese

Come accaduto con le sanzioni alla Russia per l’incarcerazione di Alexei Navalny, si tratta di misure mirate che andranno a colpire direttamente quattro ufficiali cinesi dello Xinjiang e dell’ufficio per la pubblica sicurezza del Production and Construction Corps, l’ente che si occupa dei campi di internamento. Anche in questo è stato “rispettato” il principio di reciprocità: dopo poche ore infatti la Cina – che finora ha sempre negato gli abusi nei confronti degli uiguri, sostenendo che i campi servano a combattere il fondamentalismo di matrice islamica e a fornire formazione professionale – ha risposto con sanzioni a raffica contro dieci persone e quattro entità dell’Unione europea «che danneggiano gravemente la sovranità e gli interessi della Cina». Tra questi ci sono gli europarlamentari Michael Gahler, Raphael Glucksmann, Ilhan Kyuchyk e Miriam Lexmann, membri della stessa sottocommissione sui diritti umani.

Ci ha pensato il presidente del parlamento europeo David Sassoli a suonare la carica. «Le sanzioni della Cina contro i deputati al Parlamento europeo, la sottocommissione per i diritti umani e gli organi dell’Ue sono inaccettabili e avranno conseguenze». Su Twitter gli ha fatto eco Manfred Weber, presidente del Partito popolare europeo: «Attaccare i membri del Parlamento liberamente eletti mostra il disprezzo che Pechino nutre per la democrazia. Non ci lasceremo intimidire», ha scritto. Ma mentre ribolle l’indignazione nei confronti di Pechino, Bruxelles si prepara a discutere di un altro dossier altrettanto difficile sul fronte dei diritti civili, quello della Turchia, seppur con meno zelo ideologico rispetto a quello mostrato nei confronti di Cina e Russia.

La mano tesa a Erdogan

In serata ha avuto luogo un incontro tra Borrell e il ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu e nei prossimi giorni al Consiglio europeo i capi di governo dei Paesi Ue dovranno esprimersi sul documento redatto dalla Commissione sulla Turchia e non ancora pubblicato. Sul tavolo c’è la spinosa questione del rinnovo del cosiddetto accordo sui migranti che risale al 2016, quando l’Ue decise di pagare 3 miliardi di euro alla Turchia per fare in modo che trattenesse migranti e profughi, soprattutto siriani, sulle proprie coste del Mediterraneo. L’accordo è attualmente in scadenza e l’Ue ha un bisogno disperato di rinnovarlo, non soltanto perché ha funzionato, nella misura in cui ha contribuito a ridurre le partenze per l’Ue, ma soprattutto perché toglie l’Ue dall’imbarazzo di dover violare il diritto internazionale respingendo i richiedenti asilo ai propri confini nel Mediterraneo e nei Balcani. Anche per questo il presidente turco Recep Erdogan ha il coltello dalla parte del manico.

Nei giorni scorsi l’Ong Human Rights Watch ha inviato una lettera a Borrell in cui esprimeva sconcerto per la totale assenza di ogni riferimento al rispetto dei diritti civili in Turchia nei vertici del Consiglio e negli incontri con le autorità turche. Eppure di argomenti ce ne sarebbero, come il rifiuto della Turchia di rispettare il verdetto della Corte europea per i diritti umani e rilasciare il leader curdo Selahattin Demirtaş, la repressione forzosa dell’opposizione, o l’escalation con Cipro per i giacimenti di gas (una partita che riguarda direttamente altri Paesi Ue) o, ultimo soltanto i termini cronologici, il ritiro dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne.

Borrell ha già detto di essere a favore di un rinnovo dell’accordo sull’immigrazione. Una posizione che non piace a una parte del Parlamento Ue, come nel caso di Pierfrancesco Majorino, eurodeputato membro della Commissione parlamentare Ue-Turchia, che a Open dice di essere favorevole alle sanzioni anche nei confronti di Ankara e che rispetto al patto sulle migrazioni dichiara che «la delega alla Turchia senza verifica del rispetto dei diritti umani è ingiusta e ci sottopone a un ricatto periodico». In questi anni abbiamo immaginato un’Europa fortezza che dovevamo difendere. Con la Libia è stato così, lo stesso vale con la Turchia.

Per Andrea Cozzolino, europarlamentare e membro della sottocommissione per i diritti dell’uomo, il problema va ricercato anche nella «logica di fortezza Europa» portata avanti in questi anni. «Più usciamo da questa dinamica, più riconquistiamo una funzione da player globale – dichiara a Open -. Per esempio, abbiamo inaugurato in queste settimane la politica di vicinato con il Mediterraneo: quella è la strada che dobbiamo seguire. Senza ambiguità e passaggi ondivaghi, come è accaduto con la Cina. Sulla Turchia abbiamo un ritardo che paghiamo: dovevamo da tempo aprire e rafforzare un processo di ingresso della Turchia nell’Unione europea e adesso dobbiamo vigilare sul rafforzamento del processo democratico nel Paese».

In conferenza stampa Borrell ha dichiarato che «tutte le opzioni sono ancora sul tavolo» anche se la Commissione intende coltivare «un clima positivo» nei rapporti con Ankara in quanto «Paese candidato» all’ingresso nell’Unione. Incalzato sulla questione del rispetto dei diritti in generale e l’applicazione dei principi europei Borrell ha risposto in modo involontariamente eloquente, che aiuta a capire meglio come le sanzioni alla Cina possano convivere con una certa remissività nei confronti della Turchia di Erdogan, così come dell’Egitto di al-Sisi: «I nostri principi sono abbastanza generali da poter essere ancora considerati attuali».

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