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Uiguri, la famiglia in Italia con quattro figli minorenni detenuti in Cina: «L’Italia ci aiuti, non abbiamo più loro notizie» – La videointervista

I problemi burocratici a Shanghai, il viaggio in solitaria dei figli, l'arresto da parte delle autorità cinesi. È questo il calvario di Mihriban Kader e Ablikim Memtinin, una coppia di rifugiati uiguri che da cinque anni non vede più quattro dei suoi sette figli

Fuggire dalla Cina, stabilirsi in Italia, e poi ricongiungersi in un secondo momento con i propri figli. Era questo il piano di Mihriban Kader e Ablikim Memtinin quando nel 2016 hanno lasciato lo Xinjiang per venire in Italia. Nessuno dei due immaginava però che quattro dei loro sette figli sarebbero stati deportati in uno degli orfanotrofi della regione autonoma dello Xinjiang e strappati cosi ai genitori. Da anni, la Cina conduce una dura campagna di repressione contro la popolazione uigura che abita nel nord-ovest del Paese. Attraverso quella che Pechino definisce una politica contro il terrorismo, a partire dal 2017 più di un milione di Uiguri, secondo stime indipendenti, sono stati rinchiusi in campi di internamento. I minori che vengono separati forzatamente dai genitori finiscono in orfanotrofio. Qui vengono sottoposti a un vero e proprio lavaggio del cervello, attraverso un sistema di rieducazione volto a cancellare ed eliminare per sempre la cultura uigura.

Scappare dalla Cina

Ablikim Memtinin e Mihriban Kader

«Piango tutte le notti, non riesco a dormire, non mangio», racconta a Open Mihriban Kader. Lei e suo marito avevano scelto nel 2016 di venire in Italia con i loro figli più piccoli. «Volevamo portare tutta la famiglia, ma l’agenzia di viaggi ci ha detto che sarebbe stato impossibile ottenere un visto turistico per gli altri quattro figli. Cosi abbiamo dovuto lasciarli con i nonni», dichiara Kader. Per la coppia era ormai diventato impossibile vivere a Kashgar, nello Xinjiang. «C’erano continue irruzioni notturne da parte della polizia, i bambini erano spaventati. Non potevamo più vivere cosi», dice Memtinin. Cosi nel 2016 la famiglia prende una decisione: lasciare il Paese e venire in Italia. 

Il viaggio dei figli e gli intoppi burocratici

Tre anni dopo, nel 2019, ricevono finalmente il nullaosta dal governo italiano per il ricongiungimento familiare: Zumeryem, Yehya, Muhammad e Shehide possono finalmente venire in Italia. Cosi, qualche mese dopo, i quattro ragazzi – tra gli 11 e i 16 anni – viaggiano da soli per 5mila chilometri dallo Xinjiang a Shanghai, per ottenere il visto per il ricongiungimento dal consolato italiano. Arrivati nella metropoli cinese, i minori vengono però fermati dalla polizia del consolato e gli viene negato il permesso a entrare. La sede diplomatica italiana spiega di non poter rilasciare i documenti necessari al viaggio in Italia.

«Non capivamo cosa fosse successo, i nostri figli erano spaventati, la polizia ha minacciato di arrestarli se non se ne fossero andati». Da lì inizia il calvario della famiglia uigura. I quattro minori vengono poi indirizzati all’ambasciata italiana a Pechino: è li che dovranno ottenere i documenti. Ma il viaggio è lunghissimo, e c’è pure la pandemia. Dal 24 giugno i genitori perdono però ogni contatto con i 4 figli. 

Mihriban Kader

Qualche settimana dopo i genitori scoprono che i figli sono stati prima detenuti e interrogati e poi portati in un orfanotrofio. «Se il consolato italiano li avesse fatti entrare, adesso sarebbero qui con noi», dice il padre, Ablikim Memtinin. Contattata da Open, la Farnesina ha chiarito che lo scambio di responsabilità tra Shanghai e Pechino è stato frutto di un errore burocratico. E che dopo averlo individuato, le sedi diplomatiche, sia a in Italia che in Cina, si sono subito messe in moto per far ottenere ai ragazzi i documenti. I genitori hanno dichiarato di non aver però ricevuto alcuna risposta in merito alla loro situazione dal ministero degli Esteri. La Farnesina ha però assicurato a Open che sta facendo tutto il possibile per permettere alla famiglia di ricongiungersi.

L’appello all’Italia

Ablikim Memtinin

Da settimane ormai i genitori hanno perso però di nuovo i contatti con i figli. L’orfanotrofio non permette più loro di fare videochiamate. «Chiedo al governo italiano di aiutarci. So che hanno buone relazioni con la Cina», dice il padre. Nel 2019, l’Italia è stata il primo Paese europeo a firmare un memorandum con la Cina per il via libera a varie intese commerciali ed economiche nell’ambito del mega progetto cinese della Belt and Road. Tuttavia, negli ultimi giorni, l’Italia si è unita all’Unione europea nella condanna degli abusi della Cina sulla minoranza uigura, appoggiando le sanzioni di Bruxelles contro quattro ufficiali cinesi.

La politica di separazione dei minori

A oggi, i quattro figli di Mihriban Kader e Ablikim Memtinin si trovano detenuti in un istituzione statale cinese a Payzawat, insieme a migliaia di altri ragazzi uiguri. La separazione forzata dei minori dalle loro famiglie fa parte delle misure draconiane adottate da Pechino per cancellare la cultura uigura. A questo si aggiunge un piano sistematico di aborti e sterilizzazioni forzate sia dentro che fuori da campi di detenzione.

In un rapporto pubblicato lo scorso 8 marzo dal Newlines Institute for Strategy and Policy, un gruppo di più di 50 esperti di diritto internazionale e delle politiche applicate nello Xinjiang, ha definito la separazione da parte della Cina dei bambini dalle famiglie uigure una violazione della Convenzione delle Nazioni Unite sul genocidio. Secondo la convenzione, «il trasferimento forzato di bambini di un gruppo etnico all’interno di un altro gruppo» è considerato un atto di genocidio. Anche gli Stati Uniti, sia l’ con l’attuale amministrazione Biden che con quella Trump, hanno riconosciuto che le politiche cinesi nello Xinjiang costituiscono un genocidio.

Grafiche e Video editing/Open | Vincenzo Monaco

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