Perché non dobbiamo avere paura per le acque contaminate della centrale nucleare di Fukushima sversate in mare

Tornano le ansie sull’acqua contaminata dal Giappone, e sono di nuovo infondate

Il governo giapponese ha deciso di scaricare in mare le acque provenienti dall’impianto di raffreddamento di Fukushima. Questa notizia sta generando molte preoccupazioni in seno alla comunità dei pescatori, per le eventuali ricadute sul pescato. Nel corso del tempo sono state vagliate differenti ipotesi per la gestione dell’acqua, dallo sversamento in mare (quello che sarà attuato) all’evaporazione, all’aumento della capacità di immagazzinamento. Sta di fatto che tutta la polemica è molto più politica e di immagine che sanitaria.


I pescatori della regione, già pesantemente colpiti da anni di fermo, temono nuovi contraccolpi di immagine. La popolazione potrebbe aver paura di consumare pesce contaminato, ma in questo caso la stessa contaminazione ambientale risulterebbe trascurabile per un semplice motivo: grazie ai sistemi di trattamento delle acque contaminanti, l’eventuale rilascio in mare comporterebbe dosi di radioattività minori rispetto alla media a cui gli stessi giapponesi sono soggetti. Per fare un paragone, gli italiani sono in media soggetti a una dose leggermente superiore rispetto a quella del Sol levante. Passiamo ora ai fatti e ai numeri.


L’acqua radioattiva

Nei 3 reattori incidentati viene pompata dell’acqua (al ritmo di circa 100 mc al giorno) in maniera continuativa, al doppio scopo di mantenere il corium (nocciolo del reattore fuso e ri-solidificato) attorno ai 30 °C rimuovendo il calore prodotto e per mantenerlo sotto un battente d’acqua per motivi di sicurezza. 

Quest’acqua deve essere cambiata periodicamente, perché man mano viene contaminata dal corium. Appena uscita dal reattore è pesantemente contaminata da tutti i prodotti di fissione (stabili e radioattivi), quindi prima di essere scaricata deve essere purificata in maniera molto accurata. L’acqua viene perciò trattata con un sistema di purificazione per eliminare tutto quanto meno il trizio, che essendo chimicamente idrogeno non è da questo separabile.

Perché l’acqua di Fukushima non è un pericolo

Verrebbe quindi da chiedersi se questo trizio comporti pericoli per la salute, e la risposta è che tutti gli sversamenti saranno attuati in modo da non avere alcun pericolo per la salute. Usiamo qualche numero per spiegarci meglio. 

Già nell’agosto 2011 venne creato un impianto per il trattamento delle acque contaminate. Questo, usando un insieme di tecnologie francesi, statunitensi e giapponesi, riusciva a far diminuire la contaminazione da cesio da 55.000 kBq/l a 5.5 kBq/l (1 kBq = 1000 disintegrazioni al secondo). Questo fu poi affiancato da un secondo sistema, denominato ALPS (advanced Liquid Processing System), che è in grado di rimuovere tutti i contaminanti portandoli sotto i limiti di legge. L’ALPS non riesce a rimuovere il trizio, che essendo chimicamente idrogeno è da questo indistinguibile e non processabile.

Il trizio è uno dei beta-emettitori meno energetici. Un atomo di trizio genera un beta da 19 keV. Il famoso potassio-40 delle banane genera o una gamma da 1461 keV o un beta da 1312 keV. L’energia del singolo decadimento non vuol dire però molto, dobbiamo anche sapere quanti ne abbiamo. Il trizio nelle cisterne ha una concentrazione di partenza fra 0.5 e 4 MBq/l (milioni di disintegrazioni al secondo per litro), con una media di circa 1 MBq/l. 

La legislazione in materia nucleare è molto varia nel mondo, per l’acqua potabile si passa dal limite OMS che è pari a 10.000 Bq/l, a quello italiano ed europeo che è a 100 Bq/l, a quello australiano che è a 76.106 Bq/l. Bevendo per tutto l’anno da una fonte con 60 Bq di trizio, la dose annuale corrisponderebbe ad 1/12.000 di una TAC o ad 1/12 di un viaggio aereo Washington-Los Angeles e ritorno. Da ciò, diluendo l’acqua di Fukushima che esce dall’ALPS con un fattore di diluizione modesto, questa risulterebbe potabile per molte legislazioni mondiali. 

Perché non si sono scelte altre strade

Questa è una questione che ha molteplici risvolti. Già nel settembre 2013 l’Atomic Energy Society of Japan raccomandava di diluire l’acqua triziata con acqua di mare e di rilasciarla in mare alla concentrazione di scarico legale di 60.000 Bq/l, per garantire che i livelli normali di trizio di fondo di 10 Bq/l non vengano superati. Operativamente l’acqua sarà fatta passare nuovamente per i sistemi di purificazione, sarà pre-diluita e quindi scaricata in mare con modalità da non provocare alte concentrazioni locali. 

Le altre strade erano l’aumento del numero di cisterne, per poi scaricare l’acqua fra alcuni decenni quando la sua attività fosse calata; oppure il metodo evaporativo. Questi metodi comportano differenti assorbimenti di radioattività da parte della popolazione. Nel novembre 2019 il ministero del commercio e dell’industria aveva dichiarato che il rilascio in mare avrebbe comportato dosi fra 0,052 e 0,62 µSv, mentre l’evaporazione avrebbe comportato 1,3 µSv, da confrontarsi con i 2100 µSv (2,1 mSv) della dose naturale di radioattività a cui i giapponesi sono soggetti (gli italiani in media sono soggetti ad una dose leggermente superiore, con i casi notevoli di Piazza San Pietro ed Orvieto che sono ad oltre il doppio della media nazionale). 

Il sistema scelto è quindi quello che dà i minori problemi all’ambiente e alla popolazione. La dose rilasciata è infatti trascurabile sul totale ambientale, ricordiamo infatti che l’acqua di mare contiene naturalmente molto trizio, e quantità molto più grandi di altri radionuclidi, fra cui uranio

Enrico D’Urso, classe 1986 e laureato in fisica biomedica, è un comunicatore della scienza. Si occupa in particolare di nucleare, energia ed ambiente.

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