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SuperLega, tanti errori e una domanda: come avvicinare al calcio la generazione Fortnite?

Le proteste dei tifosi hanno fermato un progetto pieno di difetti. Ma bisogna lavorare per attirare le nuove generazioni

Di fronte all’ampiezza del moto di indignazione e protesta globale che ha generato il progetto di creare una SuperLega del calcio europeo diventa quasi superfluo ricordare i tanti difetti che aveva questa iniziativa. La saggia retromarcia delle squadre promotrici porterà alla probabile cancellazione del progetto, ma sarebbe un errore chiudere la vicenda senza fare qualche riflessione approfondita sulle ragioni che hanno spinto le grandi del calcio europeo a muoversi in quella direzione. Ragioni di natura economica, certamente; ma anche ragioni più profonde, ben illustrate da Andrea Agnelli nell’intervista rilasciata a Repubblica nei giorni scorsi e, incredibilmente, poco approfondite dai commentatori sportivi. Secondo il presidente della Juventus, è in atto un fenomeno di allontanamento dei ragazzi e dei giovani dal calcio, tanto che che «il 40% per cento di coloro che hanno fra i 16 e 24 anni non ha interesse per il mondo del calcio». La risposta a questo fenomeno, secondo Agnelli, sarebbe la creazione di una competizione «che simuli ciò che fanno sulle piattaforme digitali, come Fifa» e che fronteggi «la competizione di Fortnite o Call of Duty, che sono i veri centri di attenzione dei ragazzi di oggi, che spenderanno domani»; caratteristiche che il presidente bianconero riteneva presenti nel progetto della SuperLega.

Se appare ormai chiaro che quel progetto non avrebbe risolto il problema (e anzi lo avrebbe aggravato, vista l’ondata di indignazione che lo ha accompagnato), resta aperta la domanda: è davvero in atto un progressivo allontanamento dei giovani dal calcio? La risposta ci sembra positiva. Chiunque ha in casa figli e figlie di età compresa tra i 6-7 e i 13-14 anni sa che oggi i pre-adolescenti passano le giornate a giocare con i propri amici e amiche sulle piattaforme digitali; lo fanno appena possono, persino quando sono fisicamente vicini tra loro, senza particolari distinzioni di classe, livello di istruzione, territorio di residenza, ecc. Questa passione sconfinata per le piattaforme digitali va di pari passo con l’approccio tiepido e distaccato che gran parte delle nuove generazioni mostra verso il calcio: è praticamente impossibile tenere un giovane di fronte alla televisione per 90 minuti (più l’intervallo), così come è sempre più diffuso il fenomeno del tifo per il singolo giocatore, la star globale (Ronaldo, Messi, Mbpapè e così via), che spesso va oltre la passione per la squadra del cuore imposta dalla famiglia.

Sarebbe facile fermarsi alla critica di questo fenomeno, sicuramente preoccupante in quanto produce una forte spinta verso quell’individualismo che sembra la cifra delle nuove generazioni (pensiamo a quanta freddezza manifestano i ragazzi di oggi verso tutte le forme tradizionali di aggregazione collettiva, dalla politica al sindacato). Ma chi governa e gestisce il calcio non può fare finta che questo fenomeno non esista: abbiamo un problema di distanza delle nuove generazioni dal calcio, e la SuperLega voleva dare una risposta – sicuramente sbagliata, perché indigesta ai tifosi, la vera benzina del movimento calcistico – a questa tendenza molto grave, persino più grave dei debiti delle grandi squadre.

Bisogna quindi chiedersi come attirare l’attenzione della “generazione Fortnite”, tenendo conto che molti di questi ragazzi e ragazze non avranno nel proprio Dna la “fede calcistica”, quel sentimento diffuso negli appassionati di oggi che genera un legame con il calcio resistente a ogni difficoltà (chi ha visto il magnifico protagonista di Febbre a 90, un film cult per tutti gli amanti del calcio, sa di cosa parliamo). I nuovi tifosi dovranno essere convinti ad andare allo stadio, a seguire la partita in tv e a “consumare” il prodotto calcio, con misure diverse tra loro (stadi più moderni, regole di gioco più accattivanti, tornei più spettacolari, ecc.) capaci di intercettare i loro bisogni, strutturalmente diversi da quelli dei tifosi di ieri e di oggi. Appena sarà definitivamente passata la tempesta della SuperLega, le istituzioni che governano questo bellissimo sport dovranno avviare la riflessione su quali siano le misure per andare in questa direzione, per evitare che la giusta difesa delle tradizioni non si risolva nella rinuncia a quei miglioramenti indispensabili a dare nuova linfa al pallone ed evitare che si sgonfi del tutto.

Foto: Antonio Vidal su Unsplash

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