Ddl Zan, ci sono critiche anche tra i dem. La senatrice Valente: «Escludere le donne e l’identità di genere»

Secondo la senatrice, eliminare il riferimento alle discriminazioni legate al genere consentirebbe di superare le divisioni e di ottenere l’appoggio del mondo cattolico

Via libera alla discussione sul ddl Zan in Senato. A distanza di 6 mesi dalla sua approvazione alla Camera, il disegno di legge contro l’omotransfobia, la misoginia e l’abilismo è stato finalmente calendarizzato in Commissione Giustizia. Gli ostacoli sul cammino del ddl verso l’approvazione definitiva erano stati messi principalmente dalla Lega: il presidente della commissione – il leghista Andrea Ostellari, che si è autonominato relatore per la discussione in programma – ha posticipato il dibattito di settimana in settimana prima che si uscisse dall’impasse. Ma la discussione sulla sua conversione in legge non si è consumato solo tra difensori della sedicente “libertà di opinione” e progressisti dei diritti civili: anche tra le file del centrosinistra sono emerse posizioni a favore di alcune modifiche sul testo.


«Finalmente ora può iniziare la discussione anche in Senato per l’approvazione definitiva», ha scritto Alessandro Zan su Twitter, deputato del partito democratico ideatore della legge. E il momento è propizio anche per limare, qualora lo si ritenesse necessario, alcune parti del testo prima di renderlo definitivo. Perché aldilà delle posizioni contrarie arrivate dai banchi della destra – dalla Lega e dal senatore Simone Pillon in primis, ma anche dai membri di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e buona parte di Forza Italia – in queste settimane si sono alzate voci anche da Italia Viva e dallo stesso Partito Democratico.


Valente: «La nozione di identità di genere rischia l’incostituzionalità»

A prendere parola è stata la senatrice PD e presidente della Commissione femminicidio Valeria Valente, la quale, rilanciando la posizione di Paola Concia (ex Pd e nota attivista Lgbtq+), ha chiesto di togliere il riferimento alle donne perché «la violenza contro di loro è già perseguita». Siamo d’accordo con l’approvazione della legge Zan, hanno specificato entrambe, ma ora «abbiamo l’occasione per mettere a punto una legge migliore». Uno dei punti della critica riguarda l’espressione “identità di genere”, che per Valente «crea alcune incertezze e potrebbe rischiare l’incostituzionalità per eccessiva vaghezza». «Dal punto di vista tecnico – dice a Open – è difficile accertare giuridicamente le ragioni di una discriminazione fondate su una percezione soggettiva».

Che cosa si intende per identità di genere

Per «identità di genere» si intende la percezione che ogni persona ha di sé, che può non coincidere con il sesso biologico di appartenenza. Genere, sesso e orientamento sessuale, infatti, sono tre nozioni diverse che possono non coincidere tra loro. Il dibattito è maturato particolarmente negli ultimi anni anche a livello internazionale, intrecciandosi alle battaglie della comunità queer che rivendica l’esistenza di più generi oltre al semplice e binario maschile/femminile (è il caso delle persone transgender, agender, non-binary, gender fluid etc). A livello di diritto internazionale esistono delle convenzioni che prendono in considerazione l’identità di genere come criterio istituzionale, ma a livello di codice penale è ancora difficile far valere la nozione per poter difendere adeguatamente le persone dalle discriminazioni.

La posizione di Valente non è quella di modificare il codice penale con il ddl, ma di togliere direttamente il riferimento all’identità di genere nel testo – e quindi alle discriminazioni legate al genere (quale è anche la transfobia) – soffermandosi unicamente sulle discriminazioni per orientamento sessuale (omofobia). In quel modo, dice, si potrebbe avere più appiglio dal punto di vista giuridico. Inoltre, bypassare la questione consentirebbe di superare le divisioni e di ottenere l’appoggio del mondo cattolico. «Per quanto sia una battaglia giusta – sottolinea la senatrice -, l’espressione identità di genere rischia di anticipare di troppo anche i tempi della giustizia e non rendere effettivi gli sforzi della legge».

Lo scontro sulle donne

La linea di Valente è anche quella di tener fuori le donne dal ddl e, in generale, dalle battaglie che riguardano la comunità Lgbtq+. La stessa linea è sostenuta anche da quel ramo del femminismo cosiddetto trans-escludente, che rivendica, cioè, una differenza “naturale” e di battaglie tra bio-donne e no). Esiste già, per Valente, un impianto normativo volto a tutelarle, che punta sul sistema delle aggravanti. Inserire nel Ddl Zan non sarebbe una tutela in più? Per Valente no, «a meno che non ci si concentri sulle molestie sessuali e sulle conseguenze psicologiche che ne derivano. Questo sarebbe un terreno che il ddl Zan potrebbe coprire bene». Valente e Zan non hanno ancora avuto modo di chiudere il confronto su questi temi, e la senatrice ha assicurato che, se non ci sono margini per le modifiche da lei richieste, voterà comunque a favore della sua approvazione.

Immagine di copertina: ANSA /FABIO FRUSTACI

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