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Sospesi gli accordi sugli investimenti Ue-Cina. Così Bruxelles punta a frenare l’avanzata di Pechino in Europa

05 Maggio 2021 - 12:40 Federico Bosco
La tecnologia digitale è al centro della competizione tra Washington e Pechino, se l’Europa non riuscirà a dotarsi di un piano realistico per competere nella sfera digitale non potrà essere il protagonista nuova competizione globale

Quello di Londra è il primo G-7 in presenza dopo due anni e fin dall’inizio tutti gli occhi erano sul dossier Cina. Come nel vertice Nato del mese scorso il segretario di stato americano, Anthony Blinken, è in missione per compattare gli alleati su una posizione più coerente nel contrasto dell’ascesa di Pechino. Anche se nell’intervista con il Financial Times Blinken ha respinto l’idea che che sia in corso una sorta di nuova guerra fredda tra Stati Uniti e Cina, dalle manovre militari nell’Indo-Pacifico fino al contrasto dei progetti delle nuove via della seta e l’allarme sugli investimenti cinesi nell’Unione europea, le richieste dell’amministrazione Biden diventano sempre più chiare. 

L’effetto Blinken non ha tardato a manifestarsi. Ieri il vice presidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis ha annunciato di aver sospeso (non annullato) il processo di ratifica nel Parlamento europeo dell’accordo per gli investimenti in Cina, raggiunto a fine 2020 dopo sette anni di negoziati proprio durante il periodo di transizione dalla presidenza Trump a quella Biden. Non è chiaro il destino dell’accordo, ma tra sanzioni europee e sanzioni cinesi ad alcuni europarlamentari per via della posizione sulla repressione degli Uiguri nello Xinjiang, il clima «non è favorevole alla ratifica», ha detto Dombrovskis.  

La Commissione sta cercando di frenare l’impronta della Cina in Europa

Di sicuro c’è che la Commissione sta cercando di frenare l’impronta cinese in Europa dotandosi di nuovi poteri che prendono di mira gli investimenti delle aziende straniere di proprietà statale. Oggi a Bruxelles la commissaria alla concorrenza, Margrethe Vestager, presenterà la proposta per tutelare le aziende europee dalle acquisizioni estere, una regolamentazione costruita con un’attenzione particolare agli investimenti cinesi. In base alle nuove misure, le aziende che hanno beneficiato ingiustamente di sussidi statali saranno sanzionate con multe, e potrebbero dover chiedere l’approvazione dell’Ue per fare accordi con gli europei.

Ma in parallelo, mentre l’Ue cerca di bloccare alcuni investimenti prova ad attirarne altri. Sempre oggi, altri funzionari spiegheranno i dettagli sul piano per aumentare la produzione di semiconduttori in Europa. Negli ultimi decenni la produzione è stata pesantemente esternalizzata rendendo i paesi europei dipendenti dalle forniture straniere, adesso l’obiettivo è raddoppiare la produzione all’interno l’Ue entro il 2030. Per produrre chip all’avanguardia però si dovrà collaborare intensamente con aziende statunitensi e taiwanesi come Intel o TSMC. Intel ha già chiarito che la sua condizione per investire nell’Ue sono dei generosi sussidi.

Il commissario per l’industria Thierry Breton ha detto in un’intervista che è possibile correggere lo squilibrio e la carenza globale di chip che sta azzoppando le case automobilistiche e i fornitori di elettronica, il momento di agire è adesso. «Vogliamo tornare alla nostra precedente quota di mercato della produzione per le esigenze del nostro settore», ha affermato Breton, ex amministratore delegato delle francesi Atos SE e France Telecom SA. La quota europea di produzione di semiconduttori è diminuita nel corso degli anni perché l’Ue è stata «troppo ingenua, troppo aperta», ha aggiunto.

La tecnologia digitale è al centro della competizione tra USA e Cina

Chi definirà il futuro della tecnologia determinerà il 21° secolo. Negli Usa gli sforzi per contrastare l’avanzata dell’high-tech cinese iniziano sul suolo americano, lo stesso Blinken ha detto che siamo arrivati ​​a un punto in cui la politica estera è anche politica interna. Tradotto significa che per Washington contrastare Pechino vuol dire aumentare a dismisura i fondi pubblici per l’innovazione, la ricerca e lo sviluppo di settori come l’informatica quantistica, l’intelligenza artificiale e la biotecnologia.

Agire nello stesso modo per l’Ue è molto più complicato. L’Europa è rimasta indietro nell’ultima rivoluzione tecnologica, e oggi è priva di giganti come Microsoft, Apple, Amazon, Google e di una capacità “nazionale”di produrre semiconduttori. Inoltre, la spesa in ricerca e sviluppo è inferiore a quella di USA e Cina. Se non riuscirà a dotarsi di un piano realistico del settore pubblico e privato per competere nella sfera digitale, l’Ue non non potrà essere un protagonista attivo della nuova competizione globale.

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