Chernobyl, il risveglio del reattore 4: «Qui come 35 anni fa nessuno ci dice niente» – L’intervista

Mentre il governo non diffonde notizie sull’aumento delle reazioni di fissione nucleare nella centrale, i bambini e i ragazzi di Chernobyl aspettano di essere riammessi in Italia per curarsi

Il reattore numero 4 ha ripreso a bruciare ma la notizia ai “bambini” di Chernobyl non è arrivata. Figli di una generazione distrutta da una delle più tragiche catastrofi della storia, cercano di capire di più di quello che sta succedendo alla vecchia centrale nucleare. Il “risveglio” spiegato da Science pochi giorni fa ha messo in allarme gli scienziati: la grossa brace è attiva di nuovo e per questo sarà fondamentale determinare «il pericolo di un altro incidente» o se «le reazioni saranno in grado di spegnersi da sole». A pochi chilometri da Chernobyl però sembra che la notizia non circoli. A 35 anni dall’anniversario della tragedia, il silenzio su un possibile nuovo pericolo è «lo stesso a cui la popolazione fu costretta pochi giorni prima della catastrofe, quando i rischi di una tragedia di dimensioni storiche furono messe a tacere», ricorda Fabrizio Poli, coordinatore nazionale dell’associazione Verso Est, impegnata nel sostegno di circa 650 mila minori provenienti dalle zone contaminate.


«I bambini e gli ormai giovani adulti di Chernobyl ancora oggi sono tenuti all’oscuro, così come è stato fatto con le loro famiglie. Il retaggio culturale su questo non è purtroppo mai cambiato», continua Poli. Mentre gli scienziati sembrano andare cauti sulla portata del rischio del risveglio segnalato nel reattore, pur «non escludendo la possibilità di un incidente», le generazioni di Chernobyl continuano ad ammalarsi. 5 mila tumori tiroidei registrati, 9 mila morti per cancro tra gli evacuati e i residenti delle zone ad alta e bassa contaminazione, 5 milioni le persone che vivono ancora oggi in zone inquinate da materiali radioattivi.


I “bambini” di Chernobyl sono i figli della generazione che ha subìto in pieno volto i disastri dell’esplosione nucleare di quel 26 aprile 1986 e ora con famiglie decimate da patologie, sono lo specchio di una terra che continua ad ammalarsi: l’85% di loro ha disturbi cardiocircolatori, il 55% alterazioni tiroidee, mutazione genetiche provocate dalle radiazioni ancora presenti. «Per non parlare di quello che mangiano, il Cesio-137 presente nella frutta, nella verdura e nella loro carne è letale per gli organi interni con il passare degli anni».

«Non ci raccontano nulla, la voglia è quella di scappare via»

Dina Havrylenko è stata una “bambina” di Chernobyl, ora è una giovane donna che sa bene cosa vuol dire perdere un’intera famiglia per cancro. Nata ad ottobre di quel terribile 1986, venne al mondo cinque mesi dopo la catastrofe, conoscendone presto le conseguenze. «Ricordo che la mia famiglia cercò di allontanarsi dal luogo in cui vivevamo ma non c’è stato niente da fare, due cancri terribili hanno portato via sia mio padre che mia madre. Di quello che sta accadendo adesso a noi nessuno ha detto nulla, la paura è molta e la voglia è quella di scappare via, ancora più lontano di quello che fecero i miei genitori».

Di Ivankiv, a poco meno di 50 km da Kiev, Dina combatte fin da quando era bambina con numerosi problemi respiratori, «che solo l’aria del mare di Napoli sono riusciti ad alleviare». Come gran parte dei bambini e i ragazzi figli di Chernobyl, anche lei è cresciuta riuscendo a trascorrere diversi mesi all’anno in Italia. Si chiamano viaggi di risanamento, mesi in cui bambini e ragazzi provenienti dalle aree colpite dalla catastrofe nucleare, vengono accolti dalle famiglie affidatarie sparse in tutta Italia per disintossicarsi.

Cesio e plutonio le tracce più pericolose che il disastro nucleare ha lasciato nelle loro terre e che continua a intossicare i cibi che mangiano e l’aria che respirano. «Da bambina di Chernobyl sono diventata accompagnatrice dei viaggi a cui io stessa ho preso parte per tanti anni e so quanto fanno bene ai ragazzi che partono. So cosa vuol dire sentirsi in un posto protetto, dove sai che quello che mangi non è tossico, dove vieni accolto come fossi una di loro».

I viaggi in Italia che salvano, ma da Speranza ancora nessuna risposta

«Il governo ucraino ha dato il via libera, l’Italia invece ancora aspetta la decisione del Ministero della Salute. Per ora è ancora tutto sospeso, come è stato per l’estate 2020 fino allo scorso Natale e Pasqua, che ha costretto i bambini a stare lontano dalla loro casa italiana». A spiegare l’attuale situazione è il dott. Renato Nuzzolo della Onlus Fratello Sole, già intervenuto su Open per raccontare il blocco ai programmi d’accoglienza terapeutica deciso nel 2020 e per ora mai revocato. «Non sai quante famiglie continuano a chiederci quando potranno rivedere i loro bambini, li sentono piangere dall’altra parte del telefono e non sanno come poterli aiutare». Una di loro è Natalia, che parlando al telefono con Open gioisce al solo pensiero di poter finalmente «dopo due anni» tornare nella sua casa italiana, lì dove Max e Sara, i due genitori affidatari, la aspettano per trascorrere finalmente l’estate insieme.

Considerati i dati disponibili, i viaggi terapeutici per i bambini e i giovani di Chernobyl continuano ad essere di fondamentale importanza. Dalle analisi svolte regolarmente sui bambini ospitati dalla Fondazione “Aiutiamoli a Vivere” con sede in Lombardia e Trentino, si evince come il periodo trascorso in Italia si traduca, nella maggior parte dei casi, in un abbattimento della concentrazione di Cesio-137 nel corpo tra il 30% e l’80%. «L’anno scorso ci hanno detto che per il Covid non avremmo potuto rivedere le nostre famiglie. Per quest’anno invece non è ancora arrivata nessuna notizia. Mi mancano tantissimo, non sapere nulla su quando potrò riabbracciarli è doloroso», conclude Natalia.

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