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La confusione di Pfizer sui tempi del richiamo. Perché aspettare di più dalla prima dose non è un problema

13 Maggio 2021 - 11:28 Juanne Pili
Ecco perché i 42 giorni dopo la prima dose miglioreranno il piano vaccinale

Secondo quanto sarebbe emerso dai dati a disposizione del Comitato tecnico scientifico (CTS) a disposizione del Ministero della salute, posticipare l’intervallo di tempo tra prima e seconda dose non inficerebbe l’efficacia del vaccino a mRNA contro il nuovo Coronavirus prodotto da Pfizer-BioNTech. Si passa così da 21 a 42 giorni. Hanno fatto seguito dichiarazioni contrastanti tra rappresentanti delle nostre istituzioni sanitarie e quelli di Pfizer.

I primi rivendicano l’esigenza di somministrare più dosi in minor tempo; i secondi ribadiscono che le raccomandazioni riguardano un lasso di tempo minore, ma senza mettere in discussione il piano vaccinale. In realtà entrambe le parti non si smentiscono a vicenda, vediamo perché.

Le posizioni del CTS e di Pfizer sui tempi dopo la prima dose

Marco Cavaleri di EMA ha affermato in conferenza stampa che «la somministrazione della seconda dose di Pfizer Biontech era prevista fino a 42 giorni. Queste informazioni sono nel bugiardino del vaccino. Quindi non è una deviazione rispetto alla raccomandazione». 

Lo stesso giorno Pfizer parla di «raccomandazioni dovute a principi di salute pubblica», senza mettere in discussione il piano vaccinale, facendo presente che «la nostra posizione è supportata dal riassunto delle caratteristiche di prodotto e dall’indicazione concordata con le autorità regolatorie sulla base dei dati del nostro studio di fase 3 effettuato con 2 dosi a 21 giorni di distanza». La direttrice medica della casa farmaceutica in Italia Valeria Marino ribadisce il concetto: «il vaccino è stato studiato per una seconda somministrazione a 21 giorni».

Il presidente del CTS Franco Locatelli critica la comunicazione di Pfizer:

«Da medico rispondo in maniera molto chiara: l’intervallo tra la prima e la seconda somministrazione del vaccino prolungato ai 42 giorni non inficia minimamente l’efficacia dell’immunizzazione, e ci permette di riuscire a somministrare molte più dosi di vaccino […] affermazioni come quelle che abbiamo sentito ieri (da Pfizer) rischiano solo di creare sconcerto e credo che sarebbero auspicabilmente evitabili».

Cosa c’è scritto nel bugiardino del vaccino

Nel bugiardino leggiamo effettivamente un accenno ai 42 giorni, tuttavia non sembra molto rappresentativo. Fa riferimento proprio agli studi clinici di fase 2/3 su un totale di 44 mila volontari, di cui il 93% ha ricevuto la seconda dose tra 19 e 23 giorni dalla prima. Solo il restante 3% riguarderebbe verosimilmente un lasso di tempo tra 24 e 42 giorni.

«Nella parte di fase 2/3, circa 44.000 partecipanti sono stati randomizzati in numero uguale a ricevere 2 dosi di vaccino a mRNA anti-COVID-19 oppure placebo, a distanza di 21 giorni. Nelle analisi di efficacia sono stati inclusi i partecipanti che avevano ricevuto la seconda vaccinazione a distanza di 19-42 giorni dalla prima. La maggior parte (93,1%) di coloro che avevano ricevuto il vaccino ha ricevuto la seconda dose da 19 giorni a 23 giorni dopo la dose 1». 

Effettivamente nei test clinici si parla sempre di 21 giorni tra prima e seconda dose.

Cosa dice l’OMS

Nel report dell’OMS che fa riferimento a tutti i dati a disposizione fino al 22 dicembre 2020, si parla del medesimo lasso di tempo. Il termine «42 days» non compare mai. Non di meno, nella parte riguardante i programmi consigliati dal produttore si parla di intervalli di 19-45 giorni, da cui emergono i 21 raccomandati in generale da Pfizer.

«Il vaccino Pfizer-BioNTech COVID-19 BNT162b2 (30 microgrammi) viene somministrato per via intramuscolare come una serie di due dosi da 30 microg della soluzione di vaccino diluita (0,3 ml ciascuna) secondo il seguente schema: una singola dose seguita da una seconda dose 21 giorni dopo. L’intervallo tra le due dosi nello studio comprendeva da 19 a 45 giorni. Sono stati avviati studi per determinare la necessità e la tempistica dei booster. Per il momento attuale, il programma determina solo 2 dosi».

Cosa dice l’EMA

Una nota dell’EMA del 28 gennaio scorso rispecchia pienamente le raccomandazioni della casa farmaceutica, con un dettaglio in più riguardo alle dosi che vanno oltre gli intervalli sperimentati, di cui non sembrano esserci dati:

«Le informazioni sul prodotto (sezione 5.1) affermano già che i partecipanti i cui dati sono stati utilizzati per calcolare l’efficacia hanno ricevuto la seconda dose entro 19-42 giorni dalla prima dose. È stata aggiunta una frase con l’informazione che il 93,1% di questi partecipanti ha ricevuto la seconda dose da 19 a 23 giorni dopo la prima dose. Non ci sono attualmente dati clinici sull’efficacia del vaccino quando somministrato oltre gli intervalli utilizzati nella sperimentazione clinica».

Cosa dice l’ultima circolare ministeriale

La circolare del 5 maggio del Ministero della Salute ammette che l’intervallo per Pfizer è di 21 giorni. Allora perché prolungare i tempi all’estremo? Secondo lo stesso documento la seconda dose entro 42 giorni (e non oltre) è «possibile». Parliamo quindi di un periodo di tolleranza oltre il quale sarebbe meglio non andare.

L’intervallo tra 19 e 42 giorni è stato effettivamente contemplato nella sperimentazione clinica, non di meno l’efficacia dopo 19-23 giorni dalla prima dose riguarda il 93% dei soggetti inoculati. Forse la confusione non la sta facendo solo la casa farmaceutica, che rivendica quanto emerso nei suoi studi clinici e non può prendersi la responsabilità di validare altre tempistiche, se non quelle riportate nel bugiardino, sulla base dei dati a disposizione.

Cosa dice il Comitato tecnico scientifico

Il documento riporta alcuni estratti dai verbali del CTS risalenti al 30 Aprile 2021. Abbiamo al momento l’esigenza di vaccinare una ampia quota di popolazione ritenuta a rischio, nel più breve tempo possibile.

Constatato che la prima dose garantisce oltre l’80% di efficacia si vorrebbe dare quindi priorità alla distribuzione delle prime dosi, prolungando i tempi per il richiamo fino alla sesta settimana.

«La somministrazione della seconda dose entro i 42 giorni dalla prima non inficia l’efficacia della risposta immunitaria – si precisa nel documento – Il parere potrà in futuro essere supportato da ulteriore approfondimento epidemiologico su: letalità per fascia d’età, infetti per fascia l’età (dati correnti delle nuove infezioni), stima degli infetti modellizzata anche rispetto ai dati dello studio di prevalenza».

Il CTS parla quindi di somministrazione «entro» un lasso di tempo ottimale di 42 giorni, oltre il quale non abbiamo evidenze scientifiche di una migliore efficacia.

Proviamo a fare chiarezza

Le parole sono importanti. «Possibile» non significa «raccomandato»; «entro» non significa «esclusivamente». Comprensibilmente le case farmaceutiche preferiscono dare un margine per minimizzare i rischi. D’altro canto Pfizer non è tenuta ad avere tutti i dati statistici sulla pandemia in Italia.

A seconda delle priorità cambia anche il bilancio tra rischi e benefici. Nessuno al Ministero o presso il CTS sembra affermare che d’ora in poi la somministrazione della seconda dose sarà effettuata esclusivamente allo scoccare del 42esimo giorno dalla prima.

Semplicemente la priorità al momento è coprire quante più persone possibili in tempi rapidi, minimizzando i rischi in ragione dei benefici previsti. Con un vaccino che garantisce più dell’80% di efficacia dalla prima iniezione, è stata ritenuta possibile in Italia una certa elasticità entro e non oltre i 42 giorni dalla prima dose.

Foto di copertina: ANSA/VALDRIN XHEMAJ | A medical staff prepares a dose of Pfizer-BioNTech COVID-19 vaccine at a vaccination center in Pristina, Kosovo, 11 May 2021.

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