Cartabellotta (Gimbe): «Con il Green pass possiamo riaprire prima e convincere i No Vax: ma il tampone dovrebbe pagarlo lo Stato»

Per il presidente della Fondazione Gimbe c’è troppa burocrazia dietro all’ottenimento del “lascia passare” per i viaggi: «La necessità di dover utilizzare un’autocertificazione e tre documenti cartacei è un inciampo non da poco»

Un passaporto italiano ed europeo per tornare a far tornare a correre in era Covid anche il turismo. Da mesi ormai se ne discute sia in Italia che nel resto dell’Ue, nel tentativo di trovare una soluzione comune al nodo dei viaggi e alla ripresa degli spostamenti anche per motivi di turismo. «Il Green pass oggi è una soluzione inevitabile. Ovvio che non garantisce un rischio zero di contagi». A sottolinearlo è Nino Cartabellotta, presidente della fondazione Gimbe, in un’intervista a Il Messaggero. Mentre Bruxelles cerca di sistemare gli ultimi dettagli del green pass che dovrebbe entrare in vigore a partire da metà giugno, l’Italia ha definito i tre “via libera” verdi che permetteranno di spostarsi tra regioni non gialle e/o bianche. Oltre al certificato di vaccinazione o guarigione, per tutti sarà necessario presentare un tampone negativo 48 ore prima della partenza.


«Io auspico che il governo trovi il modo di regolamentare altri utilizzi specifici del pass. Bisogna però che sgomberi il campo da ogni dubbio, in modo da renderlo più efficace», dice Cartabellotta. Per il presidente di Gimbe il problema non è tanto porre sullo stesso piano situazioni differenti, ovvero il tampone negativo, la guarigione e il vaccino, ma quanto l’accessibilità. «Oggi l’accesso ai vaccini, pagati dallo Stato, non è ancora per tutti. E l’alternativa, il tampone, è a carico del cittadino», aggiunge Cartabellotta osservando come, nell’attesa di una piattaforma digitale unica, la necessità di dover utilizzare un’autocertificazione e tre documenti cartacei, «è un inciampo non da poco».


L’altro tema è che una buona parte della popolazione continua a non volersi vaccinare. «Il 43% della popolazione in fascia 60-69 non si è vaccinata e, soprattutto, non si è prenotata. E questo è un problema», dichiara Cartabellotta. «Una campagna vaccinale di questa portata deve avere tre fasi. La prima è quella a prenotazione volontaria, poi la cosiddetta chiamata attiva, e infine l’obbligatorietà se la quota residuale non consente di mettere in sicurezza il Paese». Secondo Cartabellotta è proprio la “chiamata attiva” che può abbattere più dubbi, puntando sulla «persone del mondo sanitario» più vicina a chi è ancora scettico nei confronti del vaccino, a partire dai medici di famiglia.

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