Lavorare 55 ore a settimana è un potenziale fattore di rischio per ischemia e ictus – Cosa dice lo studio Oms-Ilo

Troppo lavoro espone a diversi rischi per la salute e forse accorcia la vita

Secondo un recente studio che si avvale dei dati raccolti in seno all’OMS, un eccesso di lavoro (pari o superiore a 55 ore settimanali) sarebbe stato correlato nel 2016 a oltre 700 mila decessi per ictus e cardiopatie ischemiche. I ricercatori hanno registrato così un incremento del 29% rispetto ai dati del 2000. Si tratta del primo report sulle malattie e infortuni sul lavoro promosso dall’Organizzazione mondiale della sanità assieme alla International Labour Organization (ILO). I dati raccolti negli anni 2000, 2010 e 2016 in diverse revisioni sistematiche studiate dagli autori del report, riguardano 194 Paesi.


Lavorare troppo accorcia la vita? Dipende

Lo studio sottopone a diversi modelli statistici oltre duemila indagini, che fotografano lo stato dei lavoratori in determinati luoghi e periodi di tempo; i ricercatori hanno potuto modellare anche più di 1700 dati provenienti da diversi database aggiornati a livello trimestrale. I risultati sono stati poi confrontati con le stime dell’OMS riguardo alla salute della popolazione globale.


Questo genere di ricerche – per quanto non possano stabilire un nesso di causa-effetto tra orari di lavoro e comparsa di determinate malattie – rappresentano uno specchio piuttosto attendibile di quanto potevamo già aspettarci da precedenti studi. L’eccessivo lavoro, in condizioni non sempre ottimali, unito a una scarsa diffusione di stili di vita salutari, non è certo un toccasana.

Dai modelli statistici emerge infatti un potenziale fattore di rischio: orari uguali o superiori alle 55 ore di lavoro settimanali sono correlate a 745 mila decessi. Lo studio ha calcolato anche 23 milioni di DALY (Disability-adjusted life year) dovuti a cardiopatie ischemiche e ictus attribuite all’eccesso di lavoro. Per DALY si intende il calcolo degli anni di vita persi a causa di malattie e infortuni sul lavoro. 

Conta soprattutto dove e come lavori

Queste stime vanno contestualizzate rispetto ai dati globali: nel 2016 i casi di ischemia e ictus correlati all’eccessivo lavoro oscillavano tra il 3,7 e il 6,9% del totale; i relativi DALY si collocavano tra il 5,3 e il 9,3%. Le regioni del mondo dove questi fenomeni risultano più incisivi sono il Sud-Est asiatico e il Pacifico occidentale, si tratta in particolare di uomini in età lavorativa medio-alta.

«Tra il 2000 e il 2016, la popolazione esposta è aumentata del 9,3% e gli oneri attribuibili di decessi per cardiopatia ischemica e ictus sono aumentati rispettivamente del 41,5% e del 19,0% – continuano i ricercatori – Queste stime congiunte OMS/ILO dimostrano che il carico di malattia attribuibile all’esposizione a lunghe ore di lavoro è il più grande di qualsiasi fattore di rischio professionale calcolato fino a oggi, rispetto a quelli attribuibili ad altri fattori di rischio professionale inclusi nelle valutazioni comparative globali del rischio».

Limiti dello studio

Nel complesso gli incrementi di questo fattore di rischio dal 2000 al 2016 risultano piuttosto piccoli, anche quando raggiungono una significatività statistica. Tutti i dati analizzati dai ricercatori riguardano studi osservazionali, i quali non possono discernere da altri fattori che possono aver determinato malattie e infortuni. Come avevamo premesso – e per stessa ammissione degli autori – «non si può essere certi che esista un’associazione causale». Inoltre, non tutti i ricercatori concordano sulla sufficiente quantità di prove raccolte.

Banalmente, «anche la qualità del luogo in cui le persone trascorrono le loro ore di lavoro, può essere importante», precisano gli autori. In sostanza, lo studio non è in grado di separare il fattore temporale dal contesto lavorativo.

Le 55 ore di un impiegato occidentale non sono paragonabili a quelle di un operaio del Sud-Est asiatico. Altri aspetti possono aver portato a una sottovalutazione o sovrastima. Per esempio, i dati sulle ore di lavoro si basano su sondaggi e non sui dati amministrativi; questo a seconda dei contesti, può aver inciso sulla affidabilità delle informazioni raccolte.

Foto di copertina: Alexas_Fotos | Immagine di repertorio.

Leggi anche: