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La malattia del sangue di Camilla era compatibile con AstraZeneca? Nessun protocollo speciale. Remuzzi: «Ma dov’era il suo medico di base?» – L’intervista

11 Giugno 2021 - 20:33 Giada Giorgi
Giuseppe Remuzzi
Giuseppe Remuzzi
L'immunologo e direttore dell'Istituto farmacologico Mario Negri commenta il caso di Camilla Canepa e spiega perché fidarsi ancora dei vaccini

«Per la patologia di cui soffriva, Camilla Canepa avrebbe dovuto essere necessariamente guidata alla vaccinazione anti-Covid da un medico di base». Così il professore e immunologo Giuseppe Remuzzi commenta il tragico caso della 18enne di Sestri Levante, deceduta dopo essere stata ricoverata per trombosi al seno cavernoso nell’ospedale San Martino di Genova. Il 28 maggio era stata vaccinata in maniera volontaria con il vaccino AstraZeneca, un dato che la comunità scientifica non ha potuto ignorare. Camilla Canepa però soffriva di piastrinopenia autoimmune e seguiva una terapia ormonale da tempo. Un quadro clinico che è emerso solo diverse ore dopo la notizia del ricovero e poi del decesso e che ora genera ulteriori interrogativi su quanto accaduto alla giovane donna. Poteva essere vaccinata con AstraZeneca pur soffrendo di una patologia simile? Chi doveva garantire la sicura anamnesi nell’hub vaccinale in cui si è presentata come volontaria?

Con piastrinopenia si intende la presenza di piastrine circolanti nel sangue inferiore a 150 mila unità per microlitro. La diminuzione delle piastrine può causare difetti nella coagulazione del sangue e manifestazioni emorragiche di vario tipo. «Le persone che ne soffrono» come spiega Remuzzi, «a volte non seguono alcuna cura a meno che il numero di piastrine registrato non è talmente basso che diventa necessario intervenire con cortisone o altri medicinali che inibiscono la riposta immune». Un protocollo vaccinale speciale per chi soffre di questa patologia non esiste, neanche per quelle giovani donne a rischio trombosi di cui gli studi scientifici parlano ormai da mesi. Non si tratta di piastrinopenia provocata da patologia tumorale per cui probabilmente sarebbe stata riservata una priorità nei primi mesi di campagna vaccinale, ma di una carenza piastrinica autoimmune che il sistema sanitario ha previsto di poter segnalare tra i problemi tipici di una vaccinazione come tutte le altre. All’inoculazione di AstraZeneca, il sistema immunitario già malato non ha attaccato il virus inattivo iniettato dal vaccino per sviluppare anticorpi, ma le piastrine stesse neutralizzandole del tutto.

Una delle pagine di anamnesi fornita dagli hub vaccinali prima della somministrazione. La quarta domanda a cui rispondere è quella riguardante le malattie del sangue

Professore, alla luce di quanto sappiamo del quadro clinico di Camilla Canepa, la giovane avrebbe dovuto fare il vaccino AstraZeneca o no?

«La ragazza avrebbe dovuto essere guidata alla vaccinazione da un medico e più possibilmente dal proprio medico di base, al corrente dei problemi e delle patologie presenti. La trombosi con piastrine basse è presente nelle segnalazioni di eventi avversi che riguardano il vaccino AstraZeneca associato alle giovani donne, il punto è che questo lo sappiamo già da tempo».

Parla di medico di base. Ma l’iter possibile negli hub vaccinali è differente, professore. L’anamnesi fatta dai medici presenti, anche e soprattutto nei casi di open day, si è finora basata unicamente sulle dichiarazioni del paziente, espresse a crocette su un foglio consegnato al momento. Non lo sappiamo ancora, ma la ragazza avrebbe potuto omettere la propria patologia senza alcun tipo di riscontro clinico.

«Non mi sento di condannare la modalità di vaccinazione degli open day, che tutt’ora mi sembrano valide in un contesto emergenziale dove la necessità più grande è quella di vaccinare il maggior numero di persone. I vaccini sono sicuri e la possibilità di poter raccogliere migliaia di persone al giorno è un’occasione di messa in sicurezza da non poter trascurare».

Qual è allora la soluzione per garantire un maggior controllo di chi va a vaccinarsi?

«Le cose vanno spiegate in modo ancora più chiaro per avere dei pazienti consapevoli. Il punto è che si tratta di 1 o 2 casi ogni 100 mila persone e abbiamo la fortuna di aver individuato la categoria maggiormente interessata, le donne in età fertile. La cosa da considerare poi è anche il fatto che tra i 20 e 29 anni il tasso di probabilità su 100mila persone di avere trombosi e dell’1.1. Nella stessa fascia le possibilità di andare in ospedale per Covid vanno dallo 0,8 allo 6,8 su 100 mila. Chiarito questo, è certo che al momento non vale la pena esporre le giovani donne al vaccino di Oxford semplicemente perché rischiano poco ammalandosi di Covid e perché abbiamo un’alternativa. Un elemento quest’ultimo non di certo secondario: ad oggi è bene evitare per loro AstraZeneca solo perché possiamo scegliere. Se questa possibilità non ci fosse stata, come è accaduto fino a pochi mesi fa, le complicanze della malattia avrebbero di gran lunga superato quelle dovute al vaccino e dunque sarebbe stato giusto somministrarlo anche a loro.

Se andiamo a guardare la frequenza di trombosi in generale con tutti i vaccini non c’è alcuna differenza tra loro e Astrazeneca. Anzi, se consideriamo la trombosi dei seni cerebrali vedremo che questa è più frequente in persone che hanno avuto una recente diagnosi di Covid rispetto a persone che hanno avuto una recente vaccinazione. Uno studio del Regno Unito ha evidenziato come su 5.248 pazienti con Covid che sono stati studiati a una settimana dopo la diagnosi, c’erano 39 trombosi cerebrali per ogni milione. A due settimane dalla vaccinazione erano 4 per milione. Lo studio ha riguardato unicamente i vaccini ad mRna e quindi Pfizer e Moderna.

Guardando i dati i vaccini sono effettivamente tutti uguali. Focalizziamoci sulle 32 milioni di dosi che sono state date in Italia. Il rischio di morire Con Moderna è all’1,9 per 100 mila dosi, con Pfizer 0,9 per 100 mila, AstraZeneca e Johnson & Johnson allo 0,7 per 100 mila. Come si vede non c’è alcuna differenza».

Come la mettiamo con chi è in attesa di fare la seconda dose di AstraZeneca? Il governo ha deciso per la soluzione “cocktail”, è sicuro?

«Per tutti coloro che hanno fatto AstraZeneca in questi open day e non hanno avuto disturbi irrilevanti, sarà ottimo fare un vaccino a mRna come Pfizer o Moderna. Lo studio su 600 pazienti in Spagna lo ha chiaramente dimostrato: si acquisisce il vantaggio della reazione immune indotta dal vettore adenovirale (AstraZeneca) e quello indotta dal vaccino mRna (Pfizer e Moderna). I due si sommano con una risposta immune dalle 3 alle 5 volte più alta di quella garantita con due dosi dello stesso vaccino. Questo vuol dire che si è più protetti».

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