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La mostra che cataloga le donne «dalla più bella alla più brutta». Valanga di proteste sui social: il museo di Shangai costretto a chiuderla

23 Giugno 2021 - 07:59 Redazione
Un giurista contattato da un quotidiano cinese ha spiegato che in quel lavoro potrebbe celarsi una violazione dei diritti

Cinquemila ragazze catalogate secondo il criterio «dalla più bella alla più brutta» da un uomo – ora professionista nel settore del fashion design – che dieci anni fa, ancora studente, ha filmato migliaia di studentesse in un campus universitario a loro insaputa per un totale di oltre sette ore di girato. Song Ta, autore del lavoro, l’ha definita un’opera d’arte. Se dieci anni fa quella mostra è passata inosservata ora, come spesso accade, quel lavoro è stato notato: un collage di immagini rubate senza il consenso delle protagoniste esposto al museo privato di arte contemporanea Ocat di Shanghai. L’opera ha un doppio titolo, in inglese e cinese: «Uglier and Uglier» (sempre più brutte) e «Jiaohua» (Fiori di campus). Sui social Song e il museo sono stati accusati di misoginia, guardonismo, oggettivizzazione del corpo femminile.

La prima esposizione a Pechino nel 2012

La collezione è stata presentata per la prima volta nel 2012 al prestigioso Ucca di Pechino nel 2013, ricevendo parecchie critiche. Intervistato, Song Ta raccontava di come il pubblico dovesse arrivare prima ancora dell’inizio del filmato, perché «è lì che ci sono quelle belle, poi vengono le meno carine, poi le brutte e in fondo le imperdonabilmente brutte, inguardabili. Così, se volete ammirare la reginetta dell’università dovete affrettarvi, in fondo c’è l’orrore, donne che possono turbare la gente impressionabile». Il giurista Zhang Bo, contattato pochi giorni fa dal Global Times, ha spiegato che in quell’opera potrebbe celarsi una violazione dei diritti: «Le studentesse che si riconoscono nel video potrebbero chiedere a Song un risarcimento e la rimozione delle loro immagini usate senza autorizzazione». Di fronte alle proteste, la galleria d’arte di Shanghai si è scusata, ha ritirato l’installazione e chiuso i battenti per «riorganizzazione interna».

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