Monitoraggio Gimbe, la minaccia della variante Delta sugli over 60: perché 7 milioni sono ancora a rischio

L’allarme della Fondazione GImbe: 2,3 milioni di over 60 non hanno ancora ricevuto la prima dose, 4,7 milioni attendono il richiamo. Intanto nel secondo trimestre mancano 20 milioni di dosi

Ci sono sette milioni di anziani che non hanno ancora completato l’immunizzazione contro il Coronavirus. E sono quindi in pericolo di contagio per la variante Delta. Si tratta, calcola la Fondazione Gimbe nel suo monitoraggio settimanale, di 2.384.966 di over 60 che non hanno ancora ricevuto nemmeno una dose di vaccino e di 4.648.515 (26,0%) che sono in attesa di completare il ciclo con la seconda dose. E intanto, con 20 milioni di dosi in meno consegnate il secondo trimestre chiude in rosso. E mentre da 15 settimane consecutive si registra una discesa di nuovi casi, anche l’attività di testing è in calo (del 60%) e questo porta a una sottostima dei casi e a un insufficiente tracciamento dei contatti.


Il report Gimbe evidenzia che in quasi tutte le regioni si conferma il calo dei nuovi casi settimanali, ad eccezione di Abruzzo e Sardegna, che tuttavia registrano incrementi irrilevanti in termini assoluti. I decessi sono in calo da 10 settimane consecutive e si sono stabilizzati attestandosi nell’ultima settimana su una media di 31 al giorno rispetto ai 32 della settimana precedente. Secondo Gimbe l’86,7% degli over 60 ha ricevuto almeno la prima dose di vaccino. Ma ci sono alcune significative differenze regionali: se Puglia, Umbria e Lazio hanno superato il 90%, la Sicilia si ferma al 76,2%. Mentre sono 2.384.966 (13,3%) gli over 60 che non ha ricevuto nemmeno una dose, anche qui con rilevanti differenze regionali: si va dal 23,8% della Sicilia all’8,1% della Puglia.


Pur non conoscendo al momento l’esatta prevalenza della variante Delta in Italia, secondo la Fondazione la sua maggiore contagiosità e la documentata limitata efficacia di una singola dose di vaccino richiedono una rivalutazione delle strategie vaccinali per minimizzarne l’impatto clinico e quello sui servizi sanitari. Gli obiettivi prioritari sono due: da un lato raggiungere il maggior numero possibile di over 60 che non hanno ancora ricevuto nemmeno una dose di vaccino, dall’altro anticipare quanto possibile la somministrazione della seconda dose in questa fascia anagrafica. Ma se per i vaccini a mRNA l’intervallo minimo tra le due dosi può essere riportato a quello originale (21 giorni per Pfizer-BioNTech e 28 giorni per Moderna), diverso è il caso di AstraZeneca. Per il preparato anglo-svedese, anche se il richiamo sarebbe formalmente permesso dalle indicazioni del foglietto illustrativo a partire dalla quarta settimana successiva alla prima somministrazione, la circolare ministeriale n. 5079 del 9 febbraio 2021 raccomanda un intervallo ottimale di 10-12 settimane per garantire una maggiore efficacia del vaccino.

Tutti i vaccini che mancano

Per questo la fondazione di Cartabellotta propone di offrire solo vaccini a mRNA (Pfizer-BioNTech e Moderna) per aumentare l’adesione alla campagna virale per quanto riguarda le prime dosi. Per i richiami invece è necessario anticipare la seconda dose per quelli a mRNA ed estendere la vaccinazione eterologa anche agli over 60. Intanto però il piatto delle consegne dei preparati piange: il 30 giugno 2021 risultano consegnate 55.302.293 dosi, pari al 72,6% di quelle previste per il 1° semestre 2021. «Rispetto alle forniture stimate nel Piano vaccinale – spiega il presidente Nino Cartabellotta – rimarrebbero da consegnare circa 20,9 milioni di dosi, il 27,4% di quelle originariamente previste: anche non considerando il vaccino di CureVac che non ha superato con successo i test clinici, in assenza di ulteriori consegne in settimana, il 2° trimestre chiuderà con oltre 13,6 milioni di dosi in meno».

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