Ddl Zan, Scalfarotto: «Tra issare una bandiera e far passare una legge scelgo la seconda» – L’intervista

Per il sottosegretario «la proposta fatta da Italia Viva, potenzialmente, offre una protezione più ampia alle vittime»

C’è anche la sua firma sul ddl Zan, disegno di legge che ha inglobato i fondamenti della prima proposta che Ivan Scalfarotto fece, nel 2013, per contrastare l’omofobia. Quel testo, ormai otto anni fa, naufragò al Senato dopo il via libera della Camera. La proposta di legge che porta il nome del deputato Pd Alessandro Zan rischia di fare la stessa fine, dopo l’inconcludente tavolo dei capigruppo della maggioranza che si è tenuto oggi, 6 luglio. Italia Viva, partito in cui milita il sottosegretario agli Interni, si è fatta portavoce di un tentativo di mediazione tra centrosinistra e centrodestra per trovare un accordo e scongiurare lo showdown a Palazzo Madama: «La possibilità di andare sotto con i voti su argomenti di questo tipo è reale – afferma, a Open, Scalfarotto -. È vero che ci sono i numeri aritmetici, ma le sensibilità in parlamento sono molto trasversali». E pur di evitare che la legge si inabissi, il sottosegretario si dice pronto a rinunciare alle locuzioni bandiera del ddl Zan, ovvero l’orientamento sessuale e l’identità di genere: «Anch’io tengo a queste parole. Ma tra issare una giusta bandiera e non far passare una legge, credo che l’obiettivo di proteggere le ragazze e i ragazzi vittime di violenze e discriminazioni omotransfobiche sia prioritario».


Il ddl Zan passerebbe con i voti dei 17 senatori di Italia Viva. Se temete la conta in Aula, è perché non c’è coesione all’interno del vostro stesso gruppo?


«Mi porti la legittima domanda che farebbe il nostro lettore, che di solito non ha una grande dimestichezza con il parlamento. Gli risponderei che in un’Aula come quella del Senato, con una maggioranza così risicata su un tema così delicato, e con la miriade di voti segreti e i milioni di emendamenti prodotti dal Senatore Calderoli, il ddl Zan rischierebbe di essere bocciato per sempre. In aggiunta va considerata anche l’assenza, in Aula, di un relatore per questo ddl e l’assenza del parere del governo, che non può esprimersi su questo tema visto che i partiti che lo sostengono sono divisi. In questo contesto, il ddl Zan è come una nave che entra nella tempesta senza timoniere. La possibilità di andare sotto con i voti su argomenti di questo tipo è reale. Dopodiché i dubbi e le perplessità, su un testo che io personalmente condivido, sono trasversali a tutti i partiti, sia a sinistra che a destra».

Eppure tutti i partiti che sostenevano il passato governo di centrosinistra si sono dichiarati a favore del ddl Zan. Dove intravede il rischio di andare sotto?

«In partiti come il nostro, dove il dibattito è aperto, emergono. Ma non in tutti i partiti la dialettica è così trasparente. Tant’è che lo stesso Zan ha detto di andare in Aula “con le dita incrociate”: una formula innovativa, perché normalmente si arriva in Aula con la certezza che la legge venga approvata. Di solito, se ci si rende conto che una legge ha un problema, si procede con un rinvio: nessuno ha interesse a presentarsi in Aula con una proposta che poi viene bocciata. Se il ddl Zan dovesse naufragare, è possibile che una legge di questo tipo non veda la luce per molti anni, visto che nella prossima legislatura non sappiamo che maggioranza ci sarà. Dal 2013, quando approvammo la legge contro l’omofobia che poi il Senato non ha mai approvato, ci sono stati migliaia di attacchi omofobici e transfobici. Mi chiedo quanti altri anni vogliamo far passare prima che ci sia una legge che li preveda come reati e li punisca».

L’articolo 1 che Italia Viva ha chiesto di cambiare è stato inserito nel ddl Zan tramite un emendamento della vostra deputata Lucia Annibali, su sollecitazione della ministra Elena Bonetti. È una giravolta politica difficile da giustificare.

«Innanzitutto occorre ribadire che, purtroppo, il referendum del 2016 sul bicameralismo non è passato: siamo ancora nel bicameralismo paritario e dunque è normale che i parlamentari di una camera modifichino una legge approvata nell’altra. Così funziona il nostro ordinamento. In secondo luogo, c’è da dire che le cose sono cambiate rispetto a quando il ddl Zan è passato alla Camera, c’è una maggioranza diversa, il che comporta ulteriori problemi. Non si tratta di una giravolta perché il dissenso non è sui contenuti della legge votata alla Camera. Il problema è che questo buon testo di legge non ha con ogni probabilità i numeri per essere approvato. Bisogna dunque capire se ci sono modifiche che possono assicurarne le approvazione, e se queste modifiche non sono tali da diminuire la copertura giuridica contro i reati di odio, allora bisogna considerare se non valga la pena di accoglierle».

Eliminando l’articolo 1, non si voltano le spalle a migliaia di ragazzi e ragazze che non vogliono definirsi in un genere e né vogliono delegare all’orientamento sessuale la propria identità?

«L’articolo 1 dà una definizione di identità di genere, ma è soltanto un articolo premissivo che contiene le definizioni dei termini essenziali previsti dalla legge: dato che non tutte le leggi contengono delle definizioni – i giudici hanno tutti gli strumenti necessari a interpretare le norme approvate dal Parlamento – io non penso si tratti di un sacrificio irrinunciabile: la norma è che il legislatore scrive la legge, il giudice la interpreta. I ragazzi e le ragazze a cui fai riferimento sarebbero protetti in realtà soprattutto dall’articolo 2 che allarga la legge Mancino ai reati “fondati sull’identità di genere e sull’orientamento sessuale”. La nostra proposta, invece, è di basare il focus dei reati “fondati sull’omofobia e sulla transfobia“. Tutte le persone transgender, gender fluid rientrerebbero nella fattispecie della transfobia».

Soltanto chi ha concluso la transizione.

«No. La transfobia riguarda anche le persone gender fluid o in transizione. Qui mi pare che stiamo facendo confusione con la legge del 1982 che richiedeva il completamento chirurgico della transizione per la riassegnazione anagrafica – peraltro non è già più così grazie agli interventi delle alte magistrature dello Stato -. I reati fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità si focalizzano sulla vittima. Noi, invece, proponiamo che i reati abbiano un focus su chi li commette, per questo nella nostra proposta di mediazione non parliamo di orientamento o identità della vittima, ma di omofobia e transfobia del reo. Paradossalmente, la protezione sarebbe dunque potenzialmente anche più ampia perché si punirebbe il reo mosso da omofobia e transfobia, indipendentemente anche dall’effettivo orientamento sessuale o identità di genere della vittima. Del resto, né io né gli altri firmatari del ddl a mia prima firma, tra cui lo stesso Zan – ma anche Pollastrini, Quartapelle, Fiano, Orfini – avremmo sostenuto una norma che non difendesse l’intera comunità lgbt+». 

Stabilire, però, per legge la tutela di tutte le identità di genere andrebbe incontro a una rivendicazione della nuova generazione. Ovvero, poter essere liberi di non fare alcun coming out e sentirsi se stessi, appartenenti a un genere terzo o proprio a nessun genere.

«Le locuzioni “orientamento sessuale” e “identità di genere” sono delle locuzioni bandiera, importanti in questo senso. Anch’io tengo a queste parole. Ma tra issare una giusta bandiera e non far passare una legge, credo che l’obiettivo di proteggere le persone di cui parlavi sia prioritario. Tutti i passi in avanti che abbiamo fatto in questi decenni sui diritti, penso all’aborto o al divorzio, si basano su leggi in un certo senso imperfette. All’inizio, la legge sul divorzio prevedeva che ci fosse una separazione lunga 7 anni prima di procedere con il divorzio vero e proprio. Per l’aborto, invece, tutt’oggi è prevista l’obiezione di coscienza, il che rende l’aborto praticamente inapplicabile in alcune regioni italiane. Ora ti domando: rinunceremmo a quelle leggi, seppur imperfette?

Ovviamente io personalmente sarei per un’Italia “in salsa olandese”, con leggi sulle libertà le più avanzate possibile. Ma se non posso fare con questo parlamento una legge di tipo olandese, preferisco portare a casa una legge che mi faccia comunque progredire. Ultimo esempio: pensa alle unioni civili, approvate senza le adozioni. Certamente un problema, ma non penso che oggi rinunceremmo a quella legge. Cosa diremmo, oggi, a tutte quelle persone che dal 2016 si sono unite civilmente? La mia preoccupazione, nel dibattito sul ddl Zan, è che si inneschi il meccanismo per cui “non avere nessuna legge è meglio della legge in discussione”. Il rischio, quando si ragiona così, è di rimanere senza leggi».

Renzi è riuscito a mettersi contro anche le potenze social di Chiara Ferragni e Fedez. Pensa sia corretto che due personalità estranee alla politica intervengano in questo modo e in questo momento nella discussione?

«Viviamo in un mondo nel quale i social media esistono. Chi ci lavora, si chiama influencer perché cerca di influenzare, appunto. Ma noi parlamentari faremmo molto male se lavorassimo per cercare il consenso sui social e non per fare il bene del Paese. Chi ha le responsabilità di legislatore, deve avere le spalle larghe per reggere anche gli insulti sui social. Però chi ha un potere mediatico forte, come Ferragni e Fedez, se inizia un dibattito – cosa che ha tutto il diritto di fare – poi penso debba farsi ingaggiare in quel dibattito. Ferragni e Fedez hanno lanciato un’accusa a Renzi. Renzi ha replicato. Mi sembra normale che la discussione continui, visto che non sono due commentatori da social media, ma due persone pubbliche che assumono in questo caso, legittimamente, una posizione su un tema politico. A questo punto mi aspetto che accettino il confronto. Detto ciò, il compito di noi politici, ribadisco, non deve essere quello di accumulare like, ma di portare al Paese le leggi che riteniamo più giuste e utili per la nostra comunità».

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