È stata l’ultima audizione prevista dalla commissione parlamentare d’inchiesta istituita per avvicinarsi alla verità sul caso di Giulio Regeni. Il deputato di Sinistra italiana Erasmo Palazzotto, presidente della commissione, dopo aver ricostruito quanto accaduto al ricercatore italiano ucciso al Cairo da «apparati di sicurezza di un regime autoritario» e aver detto che «la maggiore minaccia dell’Egitto è il suo stesso governo», ha fatto un lungo richiamo alla responsabilità degli Stati europei. Colpevoli, a suo dire, di aver fatto poco per limitare il potere di quei «dittatori» che governano Paesi come «l’Egitto e la Turchia». Poi, ha interrogato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, chiedendo conto dell’operato del suo dicastero per esercitare pressione sul regime di al-Sisi. «La nostra azione di sensibilizzazione sul Cairo è stata incessante e anche se non ha potuto, purtroppo, evitare la profonda divergenza tra le conclusioni raggiunte dalle due procure, è stato comunque giusto spingere per una ripresa dei contatti tra gli organi inquirenti» di Italia ed Egitto, ha esordito Di Maio.
«Il perseguimento della verità è sempre stato, e continuerà ad essere, un obiettivo fondamentale da raggiungere nelle nostre relazioni con l’Egitto. Alla verità hanno diritto Giulio e la sua famiglia, ma anche l’Italia intera», ha affermato il ministro, dicendo che «arrivare a un quadro definitivo, e sancito da un giusto processo non restituirà Giulio ai suoi genitori, ma riaffermerà la forza dei valori di giustizia, trasparenza e stato di diritto in cui credeva». Di Maio, nel corso dell’audizione, ha ammesso che «i progressi ultimamente ottenuti risultano insufficienti». Ma ha difeso la scelta di mantenere l’ambasciata del Cairo aperta e con tutto il personale operativo: «La presenza dell’ambasciatore è stata una scelta giusta, alla luce dell’importanza di un dialogo diverso da quello esclusivamente giudiziario avuto in alcune fasi».
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