«The Story of Regeni», il misterioso documentario in arabo (con Trenta e Gasparri) che getta ombre su Giulio

Un collage di interviste e considerazioni che ricostruiscono la vicenda del ricercatore italiano insinuando che fosse una spia dei Fratelli Musulmani

Cinquanta minuti di documentario in lingua araba, sottotitolato sia in lingua italiana e inglese e diffuso sui social network. Nel corso della narrazione, costruita ad arte per sollevare dubbi sulla storia di Giulio Regeni e sulle sue ricerche in Egitto, sono state inserite anche diverse interviste a personalità italiane. Restano invece ignoti, al momento, il regista e il produttore del documentario. Sconcertanti le dichiarazioni di Leonardo Tricarico, ex capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare e consigliere militare dell’allora presidente del Consiglio Massimo D’Alema: «Non si è indagato a sufficienza sul ruolo di quelli che io definisco i mandanti di questa tragedia – dice, riferendosi all’Università di Cambridge -. Maha Abdel Rahman – la professoressa di Regeni – era sintonizzata in maniera raffinata sul fenomeno dei Fratelli musulmani. Sarebbe interessante scoprire quale fosse il radicamento di Maha nella fratellanza».


La tesi di fondo di The Story of Regeni è che il ricercatore italiano fosse una pedina dei Fratelli musulmani, organizzazione politica islamista inserita nelle blacklist delle associazioni terroristiche da governi di diversi Paesi arabi, tra cui l’Egitto. Il giornalista Fulvio Grimaldi, che ha anche lavorato in Rai, afferma che Regeni non va al Cairo solo per motivi di studio. «La logica cosa ci dice? Stiamo parlando di un giovane italiano che ha fatto la sua formazione in scuole legate ai servizi segreti americani e occidentali, sia in Italia che negli Usa, che poi si reca a Londra, dove lavora per una multinazionale di spionaggio industriale, Oxford Analytica […]. Regeni pensa che Mohammed Abdallah – il sindacalista degli ambulanti che il ricercatore ha intervistato più volte – sia un oppositore del governo e gli offre dei soldi per un “progetto”. Che cosa potrebbe essere se non un tentativo di destabilizzare il governo?».


Nei primi minuti del documentario, Grimaldi, che tra le altre cose è conosciuto per pubblicare articoli negazionisti della Covid-19, condivide l’ipotesi che Regeni potesse essere un agente segreto entrato in Egitto con scopi non di ricerca: «Bisogna ricordarsi che l’Università di Cambridge è collegata a una scuola fondata negli anni ’30 da un ebreo tedesco che ha creato un tipo di scuola che insegnava ai ragazzi a essere disciplinati, combattivi. Sul tipo della gioventù nazista. Kurt Hahn – il fondatore – ha diffuso queste scuole in tutto il mondo. Si chiamano “Scuole del mondo unito”: sono tutte uguali, tutte indirizzate a formare agenti dei servizi segreti. Anche Giulio Regeni è andato in queste scuole».

L’ex consigliere militare di D’Alema, Tricarico, si sofferma invece su quelle che definisce «anomali nelle procedure» dopo la morte di Regeni. «Si fa fatica a pensare che siano delle coincidenze. Questo farebbe pensare a tutt’altro rispetto al rapimento di un ragazzo, alla sua tortura, soltanto perché stesse facendo un lavoro per l’università di Cambridge». L’idea che il generale italiano, oggi in congedo, si è fatto sulla presenza di Regeni in Egitto è che «questa operazione possa essere stata finanziata da una fondazione che ha un collegamento funzionale e forse anche operativo con i Fratelli musulmani. Certo – chiosa Tricarico -, non giustifica l’uccisione di un ragazzo, ma le azioni di Regeni troverebbero una giustificazione».

La voce narrante del documentario, altresì, sostiene che nei vari incontri tenuti da Regeni, il ricercatore incitasse la «rivoluzione» contro al-Sisi. E nell’operazione difensiva degli agenti egiziani, interroga gli spettatori: «Se la polizia ha ucciso il ricercatore, perché dovrebbe gettare il suo cadavere accanto ai propri edifici in questo modo e nel giorno della presenza della delegazione economica italiana?». Il regista, ignoto al momento per l’assenza dei titoli di coda, è riuscito a coinvolgere anche l’ex ministra della Difesa ed esponente del Movimento 5 stelle, Elisabetta Trenta: «Noi abbiamo fiducia che l’Egitto sia un Paese che rispetta i diritti umani e che l’Egitto stia lavorando per risolvere e identificare chi è stato l’autore della morte di Regeni».

I contributi di Trenta e Gasparri

Il senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri, raggiunto dall’équipe che ha girato The Story of Regeni, dichiara: «Mi sono sempre interrogato perché Regeni sia stato mandato a fare delle indagini apparentemente sugli ambulanti, su questioni che sembrano giuste. La Fratellanza musulmana ha delle contiguità… che dovrebbero far capire che non si fa una missione con dei professori vicini alla Fratellanza». Nel montaggio del documentario, dopo l’intervento di Wesam Ismail, presentato come avvocato egiziano, il quale critica l’efficienza della magistratura italiana, viene inserito un altro intervento di Gasparri: «La procura di Roma non è un luogo molto apprezzato – dice il senatore -. La procura di Roma è un luogo per il quale chiediamo un’indagine parlamentare. Perché la magistratura italiana, purtroppo, ha molte cose da chiarire: non ci sono solo i misteri del Cairo o di Cambridge, ci sono anche i misteri della procura di Roma».

In chiusura, il regista inserisce altri spezzoni di interviste fatte ai due politici italiani: «Io credo che sia importante avere rapporti diplomatici normali con l’Egitto», afferma il senatore forzista. «È importante collaborare con l’Egitto e con i Paesi che hanno una certa forza nel formare Paesi che sono più deboli nella lotta al terrorismo – sostiene l’ex ministra della Difesa -. Spero che le relazioni si rafforzino». Il documentario si conclude con le immagini, riprese dal drone, del luogo di ritrovamento del cadavere di Regeni e con la voce narrante che afferma: «Nessuno è in dubbio sulla brutalità del crimine, ed è uno dei crimini più compiuti, sia professionalmente che puro caso, cosicché la traccia del colpevole è scomparsa – e la vicenda Regeni -, finisce accanto ad altri crimini in cui il colpevole è rimasto sconosciuto».

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