Lo sciopero dei portuali di Trieste diventa presidio, ma in città si teme l’arrivo di 50 mila No Green Pass

L’ultima assemblea serale del Coordinamento dei lavoratori del porto (Cldt) ha visto la partecipazione di poche centinaia di lavoratori: non abbastanza per bloccare uno scalo in cui lavorano oltre 1.500 persone

Trieste – Loro hanno lanciato il sasso. Gli altri hanno raccolto la sfida. Nelle ultime 24 ore la protesta dei portuali di Trieste si è abbassata di tono. Prima hanno annunciato uno sciopero di una sola giornata. Poi hanno ritrattato. Poi ancora lo sciopero è diventato un presidio davanti a uno dei varchi sul porto. E infine l’ultima nota, non esattamente una dichiarazione di guerra: «Se qualcuno vuole andare a lavorare vada, non blocchiamo nessuno. Per tutti gli altri appuntamento alle ore 6.00 al varco ». L’ultima assemblea del Coordinamento dei lavoratori del porto (Cldt) è iniziata alle 18 del 14 ottobre, il giorno prima dello sciopero che potrebbe bloccare uno dei porti più importanti per l’Italia e per l’Europa centrale. A convocarla Stefano Puzzer, l’uomo che in questi giorni è diventato il simbolo della protesta della città.


Ex tesserato Cisl, Puzzer guida il sindacato autonomo, la rappresentanza più grande nel porto di Trieste. I suoi iscritti sono circa 300, contro i 200 di Cigl. Il Clpt è nato nel 2014 per protesta contro i sindacati nazionali. Dalle cronache locali si legge che i suoi iscritti non hanno un’appartenenza politica chiara ma sono attraversati, chi più e chi meno, da un blocco di ideali indipendentisti molto sentiti al proto di Trieste. Dai trattati post Seconda Guerra Mondiale, Trieste risulta, almeno in parte, un porto franco, libero da tutta una sorta di vincoli doganali a cui sono legati gli altri porti del Paese. Secondo il Clpt all’assemblea erano in 400, secondo fonti del porto il numero dei presenti era circa 220. Non abbastanza per bloccare uno scalo in cui lavorano oltre 1.500 persone. Soprattutto dopo che Cisl, Cgil e Uil (in tutto 600 tesserati) hanno chiarito che non parteciperanno.


La paura per l’arrivo dei No Green pass

Ora però il problema è un altro. Mentre ancora si stanno contando i fermati della manifestazione di Roma del 9 ottobre, la paura è che il movimento No Green pass si presenti compatto a Trieste per sostenere i portuali. Secondo Zeno D’Agostino, presidente dell’autorità portuale di Trieste, sono attesi alla manifestazione oltre 50 mila persone. Il Friuli-Venezia Giulia è una delle regioni in cui le percentuali di non vaccinati sono più alte. E i segnali sono parecchi. Secondo l’osservatorio della Cisl in media il 20% degli occupati è senza Green Pass e in alcune aziende questa percentuale riesce ad arrivare al 60%.

Restando sul porto di Trieste, secondo diverse fonti sembra che a non avere il vaccino sia circa il 38% dei lavoratori. E ancora. Nel comune di Trieste alle ultime elezioni amministrative la lista del Movimento 3V (Vaccini Vogliamo Verità) ha preso oltre il 4%, più del Movimento 5 Stelle. Il prefetto Valerio Valenti ha spiegato che sono stati già inviati rinforzi per le forze di polizia. Quello che non si sa è quante persone arriveranno davanti al porto per manifestare già dalle prime ore dell’alba.

La città dentro il porto

«Esistono città portuali e città con un porto». A dirlo è uno dei lavoratori più esperti del porto di Trieste. Esistono città in cui il porto è un’area a parte, un mondo separato senza nessuna interazione. Ed esistono città in cui il porto diventa il centro di tutto il territorio. Trieste è una di queste. Il porto è uno degli ultimi grandi poli rimasti, intrecciato alla storia della città e del suo territorio e ancora oggi fondamentale per una buona porzione d’Europa. Trieste è il porto in cui passa più petrolio in Italia, un petrolio che poi viene dirottato nel cuore dell’Europa. Giusto per dare una proporzione, da Trieste transita il 40% del petrolio utilizzato in Germania.

Esattamente come in tutti i porti d’Italia, anche qui attorno ai moli e alle banchine è nata una società a parte. Quello del portuale è un mestiere duro. Si passa il giorno e le notte fra carichi pesanti e manovre delicate, si fanno doppi turni, si lavora il fine settimana e durante le feste ma alla fine si portano a casa anche 2.700 euro netti al mese. Soprattutto quando si viene assunti direttamente dalle agenzie che gestiscono i lavoratori portuali. Ed è anche per questo che qui le rappresentanze sindacali hanno ancora una voce e possono permettersi di avviare una battaglia come quella che stiamo vedendo a Trieste. Una battaglia che ora rischia di essere oscurata da cortei che arrivano da ben altri ambienti.

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