Rasi: «Vi spiego cosa succede con i tamponi validi 72 ore»

Il consulente di Figliuolo: «Un tampone attesta la negatività non oltre le 5-8 ore. Protrarne la durata rischia di vanificare il piano di contenimento della pandemia»

Il professor Guido Rasi, ex capo dell’agenzia europea del farmaco Ema e consulente del commissario per l’emergenza Francesco Paolo Figliuolo, spiega oggi in un’intervista al Corriere della Sera cosa succederebbe se la validità del test del tampone fosse spostata a 72 ore, come chiedono alcune forze politiche al governo Draghi. «Alla luce delle conoscenze molecolari e soprattutto delle evidenze pratiche di soggetti risultati negativi la mattina e positivi la sera non sarebbe logico. Non è la scienza che può decidere né la politica ma il virus». E questo vuol dire che «il Sars-CoV-2 ha i suoi tempi. Se io mi contagio, ad un certo punto scatta la replicazione virale. Una singola particella ne può produrre fino a 100.000 in 5 ore. Questo significa che una persona negativa all’inizio della giornata può a metà giornata non esserlo più».


Dal punto di vista scientifico, spiega Rasi, un tampone può attestare la negatività di una persona non oltre le 5-8 ore dall’esecuzione: «Può essere utile per gestire lo svolgimento di un grande evento tenendo conto che dopo questa breve fase di incubazione un individuo può iniziare ad essere infettivo». Il limite temporale di 48 ore oggi «è un tempo ritenuto ragionevole, calato nella realtà di tutti i giorni. Si è visto che i negativi nell’arco di 48 ore infettano molto poco. Almeno questi erano i dati raccolti prima che si affacciasse la variante Delta». Che ha tempi di incubazione più rapidi rispetto alle precedenti: «E dimezzati, circa 2-4 giorni anziché 5-7, e velocità di replicazione molto più rapida. Come unico vantaggio questo ha consentito di ridurre la durata della quarantena». Protrarre la durata del tampone rischia quindi di vanificare il piano di contenimento della pandemia: «Senz’altro un numero maggiore di soggetti potrà contaminare individui in situazioni nelle quali si sentono invece protetti. Faciliterebbe la circolazione virale. Ma è difficile quantificare».


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