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Omicron associata a maggiori casi di reinfezione? I dati sono ancora insufficienti

03 Dicembre 2021 - 19:57 Juanne Pili
Le ragioni per cui lo studio preliminare che suggerisce una maggiore capacità di evadere l'immunità naturale della nuova variante ha, al momento, diversi limiti

La ricerca retrospettiva preliminare apparsa di recente sul portale di pre-print MedRxiv, è ancora in attesa di peer-review. Presenta alcuni risultati a proposito delle potenzialità della variante Omicron. Si va dalla associazione con le re-infezioni alla capacità di evadere le difese immunitarie. Attenzione però. Proprio perché lo studio conferma cose che i ricercatori si aspettano – o temono di trovare – dobbiamo prenderlo con le dovute cautele.

Come è stato svolto lo studio

L’analisi dei ricercatori si basa sui dati di sorveglianza epidemiologica di routine raccolti dal South Africa’s National Notifiable Medical Conditions Surveillance System, tra il 4 marzo 2020 e il 27 novembre 2021. Copre informazioni riguardo a oltre 2,7 milioni di persone positive al nuovo Coronavirus. I casi trovati a partire da 90 giorni dall’ultima data di raccolta dei dati sono stati considerati come sospette re-infezioni. Gli autori non sono riusciti comunque a ottenere sufficienti prove epidemiologiche riguardo a «una capacità simile con le varianti Beta e Delta», né possono accertare se Omicron «è in grado di evadere l’immunità data dai vaccini, o se la riduce».

I risultati dello studio

Parliamo di oltre 35.000 presunte re-infezioni, su un campione costituito da meno di tre milioni di casi. I ricercatori osservano che, «sebbene l’aumento del rischio di infezione primaria fosse osservato in seguito all’introduzione di entrambe le varianti Beta e Delta, non è stato osservato alcun aumento corrispondente del rischio di re-infezione. Al contrario – continuano gli autori -, la recente diffusione della variante Omicron è stata associata a una diminuzione del coefficiente di rischio per l’infezione primaria e a un aumento del coefficiente di rischio di re-infezione».

Quindi, se nel complesso il rischio di infettarsi per la prima volta resta invariato rispetto all’ondata precedente, i ricercatori constatano un aumento della probabilità di re-infettarsi associato a Omicron. Si suggerisce quindi che, rispetto alle precedenti varianti Covid di maggiore preoccupazione (VOC), Omicron mostrerebbe maggiori indizi di saper evadere le difese immunitarie precedentemente acquisite. Vale anche per quella prodotta dai vaccini? Secondo i ricercatori questa domanda resta aperta. Saranno necessari ulteriori studi per accertarlo.

I limiti della ricerca

Può l’elevata siero-prevalenza spiegare questi dati, rendendo più probabile l’emergere di re-infezioni, considerato che poco più del 20% dei sudafricani è stato vaccinato? Le ipotesi possibili sono due: 1. alta evasione immunitaria, con alta capacità di re-infezione; 2. elevata trasmissibilità intrinseca (quindi con R0 molto alto). Del resto i vaccinati in Sudafrica sono ancora troppo pochi; quasi non c’erano durante la precedente ondata. Quindi studi di questo tipo non possono accertare se Omicron infetta di più o di meno rispetto a Delta.

Per quanto ne sappiamo potrebbero essere valide entrambe le possibilità. Parliamo in sostanza di una variante che sembra molto evasiva nei confronti dell’immunità naturale, ovvero, quella data da una precedente infezione, con R0 vicino a quello di Delta. È probabile che lo stesso non valga per l’immunità data dai vaccini, ma al momento non abbiamo certezze. Occorre aspettare di avere ulteriori dati.

Foto di copertina: geralt | Immagine di repertorio

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