Un gruppo di Rohingya ha chiesto a Facebook 200 miliardi di dollari: l’accusa è di aver favorito il genocidio

Dall’agosto del 2017 oltre 738 mila Rhoingya sono dovuti fuggire dal Myanmar a causa delle persecuzioni

Un genocidio da risarcire con oltre 200 miliardi di dollari. Nelle ultime ore un gruppo di Rohingya rifugiati nel Regno Unito e negli Stati Uniti ha depositato una class action al tribunale di San Francisco contro Facebook. L’accusa riguarda il genocidio del loro gruppo etnico, una minoranza musulmana che a partire dal 2012 è stata perseguitata dal governo del Myanmar (conosciuto anche come Birmania) tanto da costringere la maggior parte di loro a rifugiarsi in campi profughi nel vicino Bangladesh. Secondo i dati pubblicati da Save the Children, dall’agosto del 2017, quando le persecuzioni si sono fatte più violente, sono stati oltre 738 mila i Rohingya su un totale di circa un milione che sono scappati dal Myanmar.


Secondo il gruppo di rifugiati che ha presentato la class action Facebook avrebbe una responsabilità diretta in tutto questo: nello specifico gli algoritmi del social media avrebbero amplificato i messaggi d’odio riferiti alla minoranza Rohingya. È questa l’accusa che si legge nel testo dell’azione legale: «Facebook è stato disposto a scambiare le vite dei Rohingya per una migliore penetrazione del mercato in un piccolo Paese nel sud-est asiatico». Un’accusa per cui al social network di Mark Zuckerberg è stata chiesto un rimborso da 200 miliardi di dollari.


Lo studio sul ruolo di Facebook in Myanmar

Il ruolo del social network di Mark Zuckerberg in Myanmar è stato discusso già nel 2018, quando la onlus Business for Social Responsibility (Bsr) aveva pubblicato un rapporto in cui si spiegava che Facebook avrebbe aiutato a creare un «ambiente favorevole» per azioni in contrasto on i diritti umani. In particolare il social, allora molto diffuso tra la popolazione, sarebbe diventato un mezzo di comunicazione «sfruttato da coloro che cercano di diffondere odio e violenza». Lo studio di Bsr era però di carattere generale e non si concentrava solo sui Rohingya. Alex Warofka, ora responsabile della sezione Human Rights per Meta, aveva detto: «Avremmo potuto fare di più».

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