Aung San Suu Kyi a l’Aia difende il suo Paese dalle accuse di genocidio

Bambini uccisi, donne violentate, villaggi bruciati e migliaia di rifugiati, ma per la donna, Premio Nobel per la Pace ’91, «hanno iniziato i Rohingya»

Aung San Suu Kyi ha difeso le azioni del suo Paese in quello che è stato definito dall’accusa il «genocidio» dei Rohyinga. Il premio Nobel per la Pace ha affermato che è stata la minoranza etnica musulmana a dare inizio alle azioni violente. La Corte internazionale di giustizia dell’Aia ha deciso di esaminare il caso dopo che il Gambia, Paese a maggioranza musulmana, ha redatto un rapporto sulle violenze commesse dal Myanmar contro la minoranza musulmana nel 2017.


Quelle di Abubacarr Marie Tambadou, procuratore generale della Gambia e ministro della giustizia, sono accuse basate su varie prove raccolte da diverse Ong nonché dall’Onu. I dati in questione mostrano che le forze armate del Myanmar si sono rese responsabili dell’uccisione di migliaia di Rohingya, compresi i bambini, hanno stuprato donne, bruciato villaggi e costretto 700mila persone a fuggire in Bangladesh, con una logica di vera e propria «pulizia etnica».


Parlando ai 17 giudici della corte, Aung San Suu Kyi ha confutato i dati che rivelano una violenza di Stato perpetrata contro la minoranza musulmana e ha affermato che non si tratta di genocidio ma di un’«insurrezione separatista» e terrorista a opera dei Rohingya. Un corpo armato della minoranza avrebbe perpetrato azioni violente contro l’esercito a partire dalla fine del 2016, ha affermato San Suu Kyi, obbligando le forze armate a rispondere con azioni repressive.

Molti sostengono che la leader si sia presentata alla Corte penale internazionale perché la maggioranza buddhista della popolazione del Paese appoggia l’operato delle Forze armate. Dopo aver ascoltato le argomentazioni di entrambe le parti, il tribunale deciderà se dare avvio a quello che sarebbe un lungo processo per crimini contro l’umanità. Per Tambadou, la mancanza di azione della comunità internazionale nei confronti dei Rohyinga è una «macchia sulla coscienza collettiva».

«Sono qui di fronte a voi per risvegliare la coscienza del mondo e sollevare la voce della comunità internazionale. Nelle parole di Edmund Burke, ‘L’unica cosa necessaria per il trionfo del male è che gli uomini buoni non facciano nulla’», aveva affermato il ministro gambiano. Aung San Suu Kyi, un tempo considerata una campionessa dei diritti umani premiata con il Nobel per la Pace del 1991, ha subito un rapido cambiamento di immagine dopo che l’Onu l’ha definita «complice» di questi crimini.

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