Mimmo Lucano, le motivazioni della sentenza: «La sua povertà è solo apparenza: così ha sfruttato l’accoglienza per scopi personali»

Il giudice del Tribunale di Locri ha spiegato le motivazioni della sentenza, che ha portato alla condanna a 13 anni e 2 mesi per l’ex sindaco di Riace

«Furbizia», «falsa innocenza», «mera apparenza». È un quadro duro quello restituito dal presidente del Tribunale di Locri, Fulvio Accurso, nelle motivazioni della condanna di Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, a 13 anni e 2 mesi di carcere pronunciata lo scorso 30 ottobre. «Nulla importa che sia stato trovato senza un euro in tasca, come orgogliosamente egli stesso si è vantato di sostenere a più riprese», scrive il giudice riferendosi a Lucano. «Perché ove ci si fermasse a valutare questa condizione di mera apparenza, si rischierebbe di premiare la sua furbizia, travestita da falsa innocenza, ignorando però l’esistenza di un quadro probatorio di elevata conducenza, che ha restituito al Collegio un’immagine ben diversa da quella che egli ha cercato di accreditare all’esterno».


«Ha strumentalizzato l’accoglienza»

Continuando nelle motivazioni, il giudice ha scritto: «Lucano, da dominus indiscusso del sodalizio, ha strumentalizzato il sistema dell’accoglienza a beneficio della sua immagine politica». La sua era un’organizzazione «tutt’altro che rudimentale, che rispettava regole precise a cui tutti si assoggettavano, permeata dal ruolo centrale, trainante e carismatico di Lucano il quale consentiva ai partecipi da lui prescelti di entrare nel cerchio rassicurante della sua protezione associativa, per poter conseguire illeciti profitti, attraverso i sofisticati meccanismi, collaudati negli anni e che ciascuno eseguiva fornendogli in cambio sostegno elettorale».


«Arricchirsi» sull’«encomiabile» modello Riace

Il presidente del Tribunale di Locri, poi, specifica che Lucano, dopo aver realizzato «l’encomiabile progetto inclusivo dei migranti, che si traduceva nel cosiddetto Modello Riace, invidiato e preso ad esempio da tutto il mondo», essendosi «reso conto che gli importi elargiti dallo Stato erano più che sufficienti», «piuttosto che restituire ciò che veniva versato, aveva pensato di reinvestire in forma privata gran parte di quelle risorse, con progetti di rivalutazione del territorio, che, oltre a costituire un trampolino di lancio per la sua visibilità politica, si sono tradotti nella realizzazione di plurimi investimenti».

Gli investimenti che Lucano avrebbe fatto con i soldi avanzati dal progetto di accoglienza per i migranti, dunque – tra cui «l’acquisto di un frantoio e di numerosi beni immobili da destinare ad alberghi per l’accoglienza turistica» – costituivano per il giudice «una forma sicura di suo arricchimento personale, su cui egli sapeva di poter contare a fine carriera, per garantirsi una tranquillità economica che riteneva gli spettasse, sentendosi ormai stanco per quanto già realizzato in quello specifico settore, per come dallo stesso rivelato nel corso delle ambientali che sono state esaminate».

Immagine di copertina: ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI

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