Una condanna a 13 anni e 2 mesi di carcere per associazione a delinquere, abuso d’ufficio, truffa e peculato. Questa è la pena che Mimmo Lucano porta sulle spalle. Reati – e una condanna – pesanti, che però non lo hanno spinto a mollare. Lucano è rimasto lì, a Riace «paese dell’accoglienza». Continua a vivere nella stanza singola con un lettino e una stufetta. Non si è arricchito, dice, né si è fatto schiacciare dai 13 anni di condanna. Ora girerà una serie autobiografica per Netflix, tempo dopo quella fiction Rai che avrebbe dovuto raccontare Riace. La tv di Stato l’ha stoppata dopo che l’ex sindaco è stato coinvolto nell’inchiesta giudiziaria. Quanto alle accuse, Lucano ammette di avere fatto «carte d’identità false per non buttare in mezzo alla strada delle persone» o aver gestito senza bando pubblico la raccolta dei rifiuti. Lui, in una lunga intervista a La Stampa, si giustifica sostenendo che, ad esempio, quello «era l’unico modo per sottrarre la gestione dei rifiuti ai soliti noti».
«Infieriscono su una persona innocente»
Intanto a Riace sono rimasti in 350 (prima erano anche 1.000). Lucano – che «non è uno della Lega e non lo sarà mai» – si dice pronto a scendere di nuovo in campo: «Se esiste Dio, ritornerò a fare il sindaco di questo paese. Il processo d’appello dovrebbe concludersi nel giro di un anno e mezzo, fra due anni voglio ricandidarmi». Lucano ricorda con nostalgia il modello Riace: «La mia era una missione, 13 anni si danno per un omicidio. Io sono incensurato, stanno infierendo su una persona innocente. Riace dimostrava che l’accoglienza era una cosa possibile. Era l’incubo di Salvini. Da Riace, infatti, arrivava un messaggio pericoloso». Lucano prendeva un’indennità da sindaco da 1.050 euro al mese.
Foto in copertina di repertorio
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