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Marco Damilano si dimette dalla direzione de L’Espresso: «Mesi di stillicidio sulla vendita. Lascio per amore del giornalismo e per coscienza»

Le dimissioni in polemica con il gruppo editoriale Gedi per il modo e il momento in cui ha scelto di vendere lo storico settimanale fondato da Eugenio Scalfari e Carlo Caracciolo nel 1955

Il giornalista Marco Damilano si è dimesso dalla direzione del settimanale L’Espresso, dopo che l’editore del gruppo Gedi aveva confermato la trattativa in corso con la Bfc Media per la vendita del giornale. Si tratta di una società editrice attiva nell’informazione sui prodotti finanziari che di recente è stata acquisita da Danilo Iervolino, da poco diventato anche proprietario della Salernitana in Serie A. In una lunga lettera ai lettori, dopo quattro anni e mezzo da direttore, Damilano si è congedato dai lettori in polemica con la società presieduta da John Elkann, lamentandosi di aver saputo della: «decisione di vendere da un tweet di un giornalista, due giorni fa», dopo «mesi di stillicidio continuo, di notizie non smentite, di voci che sono circolate indisturbate e che hanno provocato un grave danno alla testata».

Per Damilano il caso della vendita del suo ormai ex giornale non è solo un problema di metodo usato dagli editori, ma anche di merito, perché questa cessione secondo lui: «in questo modo e in questo momento rappresenta un grave indebolimento del primo gruppo editoriale italiano». Il giornalista infatti aggiunge: «È una decisione che recide la radice da cui è cresciuto l’intero albero che mette a rischio la tenuta dell’intero gruppo. È una pagina di storia del giornalismo italiano che viene voltata senza misurarne le conseguenze… Ho cercato sempre di fermare una decisione che ritengo scellerata. Mi sono battuto in ogni modo, fino all’ultimo giorno, all’ultima ora. Ma quando il tempo è scaduto e lo spettacolo si è fatto insostenibile, c’è bisogno che qualcuno faccia un gesto, pagando anche in prima persona. Lo faccio. Lo devo al mestiere che amo, il giornalismo. E soprattutto lo devo alla mia coscienza».

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