Il piano d’emergenza del governo per la guerra in Ucraina: i risparmi su luce e gas e il problema delle merci

Oggi un consiglio dei ministri con le misure per la pubblica amministrazione. La convocazione del Nisp con i vertici dell’intelligence

Un consiglio dei ministri per discutere un piano d’emergenza per la guerra in Ucraina. Che preveda risparmi di elettricità e gas e altre misure che mitigano il possibile impatto delle sanzioni alla Russia e delle ritorsioni di Putin. È quello che andrà in scena oggi per fronteggiare lo scenario disegnato nelle scorse ore a Palazzo Chigi. Dove è stato convocato il Nisp (Nucleo Interministeriale Situazione e Pianificazione), ovvero il gabinetto di guerra coordinato dalla presidenza del consiglio insieme ai ministri tecnici e ai vertici dell’intelligence. E che cercherà di affrontare anche uno dei problemi più scottanti sul tavolo della crisi. Ovvero quello degli approvvigionamenti.


Cos’è il Nisp

Il Nisp svolge il coordinamento tra ministeri ed enti nell’ottica della prevenzione e della preparazione delle crisi. È preposto all’acquisizione e alla circolazione delle notizie di interesse nazionale e promuove le procedure di coordinamento nei settori della sicurezza nazionale. Nelle situazioni di crisi monitora la situazione di interesse e formula una o più ipotesi di posizione nazionale. Proponendole poi alla presidenza del consiglio e ai ministeri competenti con il coordinamento del Viminale. Ieri, spiega Repubblica, il ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti ha fatto sapere al responsabile dell’Economia Daniele Franco e a quello della Transizione Energetica Roberto Cingolani cosa sta succedendo sul fronte delle merci. «Abbiamo grossi problemi di approvvigionamenti, come nel resto di Europa, sui mangimi e sementi per i nostri animali. C’è un problema per i rottami di acciaio e l’argilla e, più in generale, su tutto quello che arriva da Russia, Ucraina e dalla rotta Est-Ovest. Le scorte sono esaurite», ha sostenuto.


Una crisi che somiglia a quella del 2006, quando per una divergenza sul gasdotto che attraversa Kiev la Russia chiuse i rubinetti. Ma oggi la guerra rende tutto più preoccupante. Tanto che al Mise, spiega ancora il quotidiano, ipotizza il blocco dell’export. Ma la strategia che ha prevalso per ora è quella della vendita verso le aziende delle nostre filiere. Anche se a un prezzo maggiore rispetto a quello pagato finora. Sul campo dell’energia dal 27 febbraio l’Italia è in stato di preallerta. E questo prevede la riduzione dei consumi. Che avverrà prima di tutto nelle pubbliche amministrazioni. Attraverso, per esempio, la riduzione dell’illuminazione nei palazzi pubblici, a partire dai monumenti minori. E la riduzione del riscaldamento. I sindaci si stanno già muovendo in questo senso.

Elettricità e riscaldamento

Chi può abbasserà già nelle prossime ore la luce di monumenti e palazzi. Le strade saranno invece illuminate, così come i luoghi in cui esiste una esigenza di sicurezza. Abbassare di un grado e, soprattutto al Sud e ridurre le ore di accensione è invece il piano per il riscaldamento. Ma qui le scorte reggono almeno fino a maggio, si va verso l’estate. Ma ci si prepara anche alla situazione peggiore qualora Putin già la prossima settimana interrompesse le forniture. Nel frattempo, come ha spiegato ieri Draghi in Parlamento, l’Italia si deve attrezzare per non dipendere più dalle forniture di Mosca. Spostandosi su altri mercati, aumentando i rigassificatori, e raddoppiando fino a 5 miliardi la produzione italiana di gas da destinare a prezzi calmierati alle imprese, un terzo almeno alle Pmi.

Ma anche aumentando il risparmio energetico, parole, queste ultime, che ai deputati hanno ricordato proprio l’invito della commissione Ue ad abbassare di un grado il termosifone. La strategia dell’esecutivo, ha ribadito Draghi alla Camera, guarda al breve periodo con l’obiettivo di sostituire in tempi rapidi le forniture di gas russo. Ma in un orizzonte di medio e lungo termine deve insistere nel diversificare le fonti di energia. Spingendo al massimo le rinnovabili con una operazione di profonda semplificazione. E senza escludere nessun contributo, nemmeno quello del nucleare “pulito”, che potrebbe avere nel prossimo futuro sviluppi promettenti. Il consorzio Eurofusion che, ricorda il premier, gestisce 500 milioni di finanziamenti Euratom, potrebbe tradurre gli studi nel primo prototipo di reattore a fusione entro il 2028.

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