La Russia e l’ombra del default: oggi scade il debito di Mosca. Cosa succede se paga in rubli?

Gli scenari che si aprono danno per possibili paralleli con il Venezuela sanzionato da Trump o con l’Argentina – anche se in quel caso la crisi era annunciata

Oggi, mercoledì 16 marzo, è un giorno cruciale per l’economia russa, che deve far fronte al suo primo pagamento in dollari USA da quando ha invaso l’Ucraina il 24 febbraio scorso. Mosca, ricostruisce Al Jazeera, dovrebbe pagare 117 milioni di dollari – la stima è di Jp Morgan – in interessi su due obbligazioni sovrane denominate appunto in dollari. Oppure rischiare di essere insolvente sul suo debito. Come noto Stati Uniti, Unione Europea e altri paesi occidentali hanno imposto pacchetti di sanzioni sempre più pesanti a Mosca, congelando di fatto più della metà dei 300 miliardi di dollari di asset della banca centrale e facendo crollare il rublo, che ha perso un terzo del suo valore. Anche centinaia di aziende occidentali hanno lasciato il paese o comunque sospeso le loro operazioni in Russia. Il presidente russo Vladimir Putin dice che Mosca effettuerà i pagamenti, ma lo farà rubli almeno finché le sanzioni non consentiranno accordi in dollari. Solo che pagare in valuta locale anziché in dollari potrebbe innescare un’ondata significativa di insolvenze, impensabile solo poche settimane fa, scrive ancora Al Jazeera. La Russia e le società russe hanno debiti per circa 150 miliardi di dollari in valuta estera, tra titoli di Stato ed emissioni societarie di colossi del gas e del petrolio come Gazprom, Rosneft e Lukoil, che, spiega Repubblica, difficilmente riuscirebbero a uscire indenni da un evento simile. Il default della Russia sul debito estero sarebbe il primo da quando i bolscevichi non hanno riconosciuto il debito dello zar dopo la rivoluzione del 1917.


Cosa può succedere se la Russia va in default

Oltre al pagamento dei 117 milioni di dollari di interessi sulle sue obbligazioni in dollari. Ma poi ci sono altri importi in scadenza ancora nel mese di marzo e aprile: in termini di capitale, sono previsti per il 31 marzo e il 4 aprile, rispettivamente per 359 milioni e per 2 miliardi di dollari di rimborsi sui titoli statali. Se la Russia non dovesse pagare ci sono 30 giorni di tolleranza, di «periodo di grazia». Morgan Stanley, spiega Repubblica, ha infatti indicato nel 15 aprile la data che definirà o meno l’insolvenza di Mosca. Il responsabile della strategia sui titoli di Stato dei mercati emergenti, Simon Waever, aveva ritenuto «un default lo scenario più probabile», e parlato di una prospettiva simile al Venezuela colpito dalle sanzioni dell’ex presidente Usa Donald Trump. Secondo Algebris, invece, la Russia dovrebbe continuare a onorare il debito grazie alle entrate da materie prime come gas e petrolio.


Poi le agenzie di rating del credito considereranno probabilmente il paese inadempiente e gli obbligazionisti inizieranno a negoziare. E i negoziati potrebbero andare male per Mosca. Alcuni dei titoli emessi dalla Russia, spiega ancora Al Jazeera, hanno una clausola che consente il pagamento in rubli, ma i pagamenti degli interessi che scadono mercoledì non sono ammissibili. La Russia deve pagare in dollari e, dato il valore ridotto della sua valuta, potrebbe essere difficile. Mosca inoltre è stata tagliata fuori da molti meccanismi finanziari, ma può anche effettuare i pagamenti perché l’Office of Foreign Assets Control degli Stati Uniti ha autorizzato un’esenzione per le transazioni per soggetti statunitensi per «la ricezione di interessi, dividendi o pagamenti a scadenza in relazione a debiti o azioni».

Se Mosca non paga

Se la Russia non dovesse pagare, un default del debito potrebbe spingere i pochi investitori stranieri rimasti in Russia a lasciare il paese, isolandolo ulteriormente. E se il governo va in default, le aziende potrebbero seguirlo. Qualcosa che, si nota, potrebbe essere paragonata a quello che è successo in Argentina nel 2020, spiega Gerard DiPippo, ricercatore senior in economia presso il Center for Strategic and International Studies. «La grande differenza qui è che è uno shock che gli investitori non si aspettavano di dire due o tre mesi fa, mentre in Argentina si è visto arrivare il problema», spiega ad Al Jazeera. «È un evento geostrategico, seguito da massicce sanzioni, un’economia in crisi e ora il potenziale di default del debito», dice DiPippo. «Si tratta di qualcosa che in pochi hanno previsto». Il ricercatore presume che Stati Uniti e alleati «fossero consapevoli delle implicazioni del congelamento della capacità della banca centrale russa di accedere a dollari, euro e altre principali valute». Di fatto se il debito non verrà pagato gli investitori diverranno ancora riluttanti a fare affari con il paese.

Il governo russo, comunque, non è in realtà così indebitato. Parte della loro strategia di «fortezza Russia», ragiona Al Jazeera, consisteva nel costruire il bilancio di Mosca principalmente con riserve di valuta estera e di oro, mantenendo quindi bassi i livelli di debito. L’anno scorso il debito interno della Russia è stato pari a circa il 13% del suo prodotto interno lordo. Il debito estero ammonta a 150 miliardi di dollari e solo 45 di essi sono in realtà di proprietà del governo russo. La maggior parte è di proprietà di società russe e banche russe, spiega ancora DiPippo ad Al Jazeera. Gazprom è la più grande compagnia che possiede debiti, ma il settore petrolifero e del gas russo è stato abbastanza isolato dalle sanzioni occidentali. Però i russi ora incontrano difficoltà a vendere il loro petrolio, tranne che con uno sconto elevato a causa delle preoccupazioni sull’incorrere in sanzioni.

I precedenti

Risale al 1998 l’ultima volta in cui la Russia non è riuscita a onorare il proprio debito. Il default in quel caso si era limitato al debito domestico in rubli. Il sistema bancario era crollato e patrimoni e risparmi svalutati. Al 1918 risale invece l’ultima insolvenza sull’esposizione in valuta estera, con Lenin che aveva ripudiato i debiti del governo zarista. Nel 1998, ricorda ancora Repubblica, le banconote, “carta straccia”, venivano buttate dal bancone, i negozi venivano presi d’assalto, e la “sfida” era sopravvivere con il dollaro scambiato di colpo a 26 rubli invece che a 6. «Trovai per strada un mucchio di soldi buttati via, li raccolsi e ci riempii una busta di plastica», ricorda oggi Anastasia Raspopovaja, che allora aveva aveva 13 anni. «Quando arrivai a casa con la busta piena di soldi, i miei genitori mi dissero che potevo buttarli dal balcone. Fu così bello vedere tutte quelle banconote che volavano via».

«A causa dell’aumento dei prezzi ci toccò mangiare orecchie di maiale e comprare scarti di mela da frullare per nostra figlia», ricorda Natalja Kineva, di Novokuzneck: allora aveva 27 anni ed era appena diventata mamma. Quella crisi, Putin lo ricorda bene, rappresentò la fine di quello che viene definito Far West economico e politico degli anni ’90 scatenato dalla caduta dell’Urss. La parabola di Boris Eltsin subì un colpo, mentre l’ascesa al potere di Putin comincio proprio in quel momento. Di un nuovo default in arrivo però i russi sembrano in questo momento non preoccuparsi. Secondo Aleksandr Kudrin, responsabile strategia della società di investimenti Aton, nel 2022 ci sono cose peggiori per il paese. C’è un meme che gira però tra le persone più giovani, conclude Repubblica: «Dove nascondere i soldi? Dentro ai rubli tanto là non li cercherà nessuno».

In copertina ANSA/MAXIM SHIPENKOV | Mosca, Russia, 27 gennaio 2022.

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