Fotografato per la prima volta il buco nero al centro della Via Lattea: ecco la «prova schiacciante» che esiste – Il video

Un risultato «straordinario» ottenuto grazie alla collaborazione internazionale Event Horizon Telescope, che comprende 80 istituti. Quattro sono italiani

Al centro della nostra galassia, la Via Lattea, c’è un buco nero, già denominato Sagittarius A*. La conferma definitiva arriva con un «prova schiacciante», così l’hanno definita i ricercatori italiani che hanno partecipato alla scoperta, e decisamente storica: una foto, ottenuta dalla somma di numerose immagini del buco nero catturate da una rete globale di otto radiotelescopi, compreso il più potente al mondo, l’Alma (Atacama Large illimeter/submillimeter Array). Un risultato straordinario ottenuto grazie alla collaborazione internazionale Event Horizon Telescope (Eht), che coinvolge più di 300 ricercatori e 80 istituti di tutto il mondo, e a cui l’Italia contribuisce con il lavoro dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), l’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), l’Università Federico II di Napoli e di Cagliari.


La foto del buco nero del Sagittarius A*

Come si evince dall’immagine, il buco nero non è direttamente visibile perché, in quanto tale, non emette luce. Si vede però uno spesso anello di gas brillante, prodotto dalla luce distorta dalla potente gravità del buco nero, che ha una massa pari a quattro milioni di volte quella del Sole ed è distante dalla Terra 27mila anni luce, distanza che ne fa il più vicino finora scoperto al nostro pianeta. La foto del Sagittarius A*, nome che con tutta probabilità deriva dalla sua vicinanza alla costellazione del Sagittario, arriva a tre anni dalla prima immagine di un buco nero, quello della galassia M87.


Nonostante sembrino molto simili, però, quello della Via Lattea è oltre 1.000 volte più piccolo, meno massiccio e circondato da gas che gli orbitano attorno molto più velocemente (pochi minuti per completare un giro, contro i giorni impiegati dal gas attorno al buco nero di M87). Proprio per questo è stato più difficile da immortalare: per ottenere la sua immagine, gli otto radiotelescopi, attivi all’unisono come un unico strumento grande quanto la Terra, sono stati puntati verso il cuore della galassia per diverse notti nell’aprile 2017, raccogliendo dati per molte ore di seguito, in modo simile a quando si fa una lunga esposizione con una macchina fotografica.

Il contributo della ricerca italiana

«È uno straordinario risultato della cui portata riusciremo a renderci conto davvero solo con il tempo», ha commentato la ministra dell’Università e la Ricerca, Maria Cristina Messa. «Complimenti al grande e globale gruppo di lavoro che ha consentito di raggiungerlo e, all’interno di questo, alle scienziate e agli scienziati italiani. Questa scoperta dimostra come le reti collaborative di ricerca internazionale siano fondamentali per il progresso di tutti, di come sia importante per l’Italia farne parte investendo in modo continuo e stabile negli anni e di come si debba fare uno sforzo per preservare queste reti anche in momenti di crisi», ha aggiunto.

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