Battaglione Azov, la madre del vicecomandante Kalyna: «Mio figlio non è un nazista. Ho il terrore che lo torturino»

«Voleva continuare a studiare ma poi è andato in Donbass a difendere il nostro Paese», spiega al Corriere Lydia Vasylivna. Il figlio è stato l’ultimo a lasciare l’acciaieria di Mariupol

«Mio figlio è buono. Non beve e non fuma». Comincia così il racconto di Lydia Vasylivna, 66 anni, madre del vicecomandante del battaglione Azov, Svyatoslav Palamar, detto Kalyna, ultimo a lasciare l’acciaieria di Mariupol. «Voleva continuare a studiare ma poi nel 2014 è andato in Donbass a difendere il nostro Paese», spiega al Corriere. Nella sua casa di Mykolaiv, a 30 chilometri da Leopoli, Vasylivna ricorda gli ultimi momenti in cui è riuscita a sentire Palamar. «Era il 20 maggio, erano le undici di mattina. Non lo sentivamo da tantissimo. Ci ha detto: “Ciao mamma, ciao papà, sto per uscire da Azovstal, da questo momento in poi non so quando riuscirò a sentirvi ancora, potrebbe passare tanto tempo”. E poi più niente». In quel momento i genitori del vicecomandante non sono riusciti a dire molto: «Solo: “Ti prego, stai attento”», ricorda la madre. «Stava aspettando di essere evacuato, prima di lui sono usciti gli altri. I soldati feriti e i sottoposti. Ora abbiamo molta paura che gli facciano del male». Lydia Vasylivna si riferisce alle forze russe. «Sono terrorizzata dall’idea che lo torturino», dice. «Abbiamo molta fiducia nel nostro presidente. Speriamo che negozi la liberazione dei prigionieri di Azovstal che hanno combattuto per la gloria di tutta l’Ucraina. Speriamo nessuno si dimentichi di loro».


«Aspettavamo il segnale che fosse vivo per giorni»

L’ultima volta che l’immagine di Kalyna è apparsa davanti gli occhi dei suoi genitori è stato in televisione. «Lo abbiamo visto qualche sera fa in televisione. Ringraziava Zelensky e tutti quelli che hanno aiutato l’evacuazione delle acciaierie. Noi non abbiamo molte informazioni e questa cosa ci distrugge. Non dormiamo, seguiamo le notizie tutto il giorno. Mi manca mio figlio, non lo abbraccio da gennaio». Fino a gennaio Kalyna viveva a Mariupol con sua moglie e suo figlio di cinque anni. «Andavo spesso da loro per aiutarli con il bambino», continua la madre. «Mio figlio immaginava che le cose sarebbero esplose, tanto che due giorni prima del 24 febbraio ha mandato la sua famiglia fuori dall’Ucraina». Poi il periodo più buio della resistenza in acciaieria. «Spesso ci mandava messaggi con solo un “+”. Il “+” era il suo modo per dire tutto ok, sono vivo. E noi aspettavamo quel segno per giorni».


«Non sono nazisti»

La testimonianza di Lydia Vasylivna si sposta poi sul battaglione Azov e sulla matrice nazista attribuita ai suoi combattenti. «Mio figlio non è nazista. C’è un’idea sbagliata del battaglione Azov, frutto della propaganda russa: non sono nazisti, sono nazionalisti», spiega la donna. «Tra di loro non ci sono solo ucraini. Fanno parte degli Azov tutte quelle persone che vogliono difendere il nostro Paese che è da anni in pericolo d’invasione. Mi ferisce molto quando dicono che mio figlio è nazista». Vasylivna racconta della decisione di Kalyna di entrare a far parte del battaglione come frutto di «un forte spirito patriottico» cresciuto negli anni. «Non è mai stato interessato alla politica. A scuola adorava la storia. Dopo Maidan e dopo che Andriy Biletsky ha fondato Azov, si è unito al battaglione. In molti ragazzi è cresciuto un forte senso patriottico. Noi, per esempio, siamo con Zelensky».

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