Omicidio Willy, la lettera di Marco Bianchi dal carcere: «Ho toccato il fondo, contenti? Non siamo mostri»

«Abbiamo paura di farci la galera per un fatto mediatico – scrive uno dei due fratelli imputato per l’omicidio del 21enne di Colleferro – non perché siamo colpevoli. C’é chi ha la coscienza sporca, e non siamo io e mio fratello»

«Ho toccato il fondo. Ecco la vostra soddisfazione. È una cosa che non auguro a nessuno, la sensazione di essere da soli, al buio. Sono andato giù, ma oggi ho deciso di rialzarmi e combattere per la verità e per la vita. Io e Gabriele siamo ragazzi di cuore, sinceri. Tutte quelle cattiverie che hanno detto contro di noi non sono vere, sono state solo bugie su bugie per farci toccare il fondo. Siamo stati descritti sin dall’inizio, senza conoscere gli atti del processo, come mostri e assassini». Sono le parole di Marco Bianchi, uno dei quattro imputati per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte, il ventenne ucciso di botte a Colleferro nel settembre 2020 mentre usciva da un locale con gli amici, e contenute in una lunga lettera inviata dal carcere di Viterbo all’Adnkronos.


A pochi giorni dalla sentenza attesa per il prossimo 4 luglio in Corte d’Assise a Frosinone, il giovane che assieme al fratello Gabriele rischia l’ergastolo, accusa i media di aver influenzato l’iter processuale e l’opinione pubblica contro i fratelli Bianchi, «mentre il colpevole non si è preso le proprie responsabilità: ancora con il sangue sulle scarpe, se ne sta tranquillo in casa sua», ha scritto Marco Bianchi riferendosi a Francesco Belleggia, che si trova agli arresti domiciliari, e assieme a Mario Pincarelli rischia invece 24 anni di carcere.


«Sono fiero di quello che sono e di combattere per la mia innocenza»

«Io e Gabriele siamo ragazzi di cuore, sinceri – si legge nella lettera di uno dei fratelli Bianchi -. Tutte quelle cattiverie che hanno detto contro di noi non sono vere, sono state solo bugie su bugie per farci toccare il fondo. Siamo stati descritti sin dall’inizio, senza conoscere gli atti del processo, come mostri e assassini. Dai giornali e dai social è stata usata una nostra foto per dimostrare che eravamo due ragazzi che pensavano solo a fare la bella vita. Ho avuto la forza di guardarmi allo specchio, di essere fiero di quello che sono e di combattere per la mia innocenza. Io e mio fratello non ci siamo mai nascosti su nulla, non abbiamo mai chiesto aiuto, non siamo mai stati protetti, sempre soli e divisi. Abbiamo sempre affrontato tutti i problemi per far capire la realtà delle cose, perché noi siamo così: disponibili, educati e rispettosi, sempre pronti ad aiutare i più deboli».

«Io e Gabriele non abbiamo ucciso Willy»

Marco Bianchi, nella lunga lettera di sette pagine, ha poi ribadito la sua innocenza, così come quella del fratello Gabriele: «Sia io che Gabriele continueremo sempre, da uomini veri, a dire che non c’entriamo nulla con questo crimine. Non siamo degli psicopatici che negano davanti all’evidenza e prima o poi la verità uscirà fuori. C’è una grande differenza tra farsi la galera da colpevoli e farsela da innocenti. E quando tutto questo finirà, se ci sarà la possibilità di incontrarmi un giorno, rimarrete a bocca aperta, stupiti, capendo che non siamo le brutte persone descritte dai media: quel ragazzo non è morto per mano nostra. L’ho messo in chiaro in aula, davanti al giudice, guardando in faccia la povera madre di Willy».

Le parole per la madre di Willy: «Siamo in carcere senza aver toccato suo figlio con un dito»

E proprio rivolgendosi direttamente alla madre di Willy, la signora Lucia Monteiro, Marco Bianchi scrive: «Signora mia, ogni volta che ho la possibilità di guardarla, vedo il dolore e l’odio che può provare per chi le ha portato via suo figlio. È lo stesso sentimento che leggo negli occhi di mia madre, che è morta dentro e prova rancore per il vero colpevole, il bugiardo che ha rinchiuso i suoi figli in carcere al suo posto, per un crimine che non hanno commesso.  Io la guarderei come guardo mia madre. Se io e mio fratello fossimo gli artefici della morte di suo figlio, mai ci saremmo permessi di sostenere il suo sguardo come abbiamo fatto durante il processo, di guardarla come se guardassimo nostra madre. Non ci saremo mai permessi di negare le nostre responsabilità per tornare liberi: io, personalmente, mi sarei sentito sporco e infame».

«Se fossimo noi i veri responsabili di tutto questo – prosegue ancora Marco Bianchi – le avrei dato subito la soddisfazione che stavamo pagando la giusta pena. Parlo per me, ma anche per mio fratello che è in carcere senza aver toccato Willy con un dito (così come dichiarò in precedenza il fratello Gabriele, ndr) Ecco ciò che siamo, signora mia, in 25 anni di vita abbiamo sempre avuto le idee chiare. Non ci siamo mai drogati, siamo stati sempre lucidi per non commettere sciocchezze, per non rovinarci la vita. Spero al più presto che scoprirà la verità per poter avere la meritata soddisfazione di poter dire a suo figlio di averlo difeso, di aver assicurato i responsabili della sua morte alla giustizia».

«Abbiamo paura di farci la galera per un fatto mediatico, non perché siamo colpevoli»

Alla fine della lettera, parlando anche a nome del fratello Gabriele, Marco Bianchi scrive: «La paura più grande, che non ci dà pace è quella di farci la galera per un fatto mediatico, non perché colpevoli. Prima o poi la verità uscirà fuori e spero sia dimostrata l’innocenza mia e di mio fratello, perché possa ritornare lui dalla sua famiglia e io crearmene una. Confido nella giustizia, la verità verrà fuori. Si sono inventati di tutto su di noi e mi spiace ma noi i problemi in carcere non li abbiamo mai avuti. Sono sempre andato in sezione con i comuni. Sulle falsità ci rido su, tra le tante quella che mi sputavano nei piatti senza sapere che ero io a portare il vitto. C’é chi ha la coscienza sporca. E non siamo io e mio fratello».

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