Torino, per i giudici «la porta socchiusa era un invito a osare». Assolto dopo la condanna per stupro


«Un invito a osare», così è stata definita dalla Corte d’appello di Torino la porta del bagno socchiusa che una ragazza ventenne ha lasciato mentre fuori l’aspettava un amico. «Invito che l’uomo non si fece ripetere, ma che poi la ragazza non seppe gestire, poiché un po’ sbronza e assalita dal panico». Lui era stato condannato a 2 anni e 2 mesi per violenza sessuale dal gup nel 2021 nel primo grado celebrato con rito abbreviato, sentenza che però la corte d’appello ha ribaltato, con l’assoluzione, le cui motivazioni sono state pubblicate dal sito piemontese Cronacaqui e dal Corriere della Sera. L’accusa di stupro, però, non reggerebbe, poiché «non si può affatto escludere che al ragazzo, la giovane abbia dato delle speranze, facendosi accompagnare in bagno, facendosi sporgere i fazzoletti, tenendo la porta socchiusa» si legge nella sentenza dei giudici Piera Caprioglio, Giacomo Marson, e Marco Lombardo.
La dinamica
I fatti risalgono al 2019. I due si conoscono da circa cinque anni e si incontrano per le strade del centro. Si sono baciati occasionalmente, ma lei ha chiarito che si trattava di un fatto episodico e che non aveva «alcuna intenzione di iniziare una relazione sentimentale», si legge nella sentenza del gup. Dopo qualche bicchiere in un locale di Via Garibaldi dove il venticinquenne lavorava in passato, la ragazza va in bagno, lascia la porta socchiusa e chiede a lui di porgerle dei fazzoletti. A quel punto il ragazzo entra, tappa la bocca di lei con una mano e le sfila i pantaloni strappandone la cerniera. Per il gup è «violenza sessuale», ma non per la corte d’appello dato che «si trattenne in bagno, senza chiudere la porta, così da fare insorgere nell’uomo l’idea che questa fosse l’occasione propizia che la giovane gli stesse offrendo. Occasione che non si fece sfuggire», argomentano i giudici.
Lei ha detto più volte: «Non voglio»
La sentenza, va contro le deposizioni della ventenne al tribunale di primo grado. «Ho ripetuto più volte a lui: “Che cazzo stai facendo? Che cazzo stai facendo? Non voglio”». E proprio per violazione delle istanze processuali la procura generale ha presentato ricorso in cassazione chiedendo che venga annullata la sentenza della corte d’appello, poiché questa «dimostra di non applicare i principi giurisprudenziali in tema di consenso all’atto sessuale» si legge nel documento firmato dal sostituto procuratore generale Nicoletta Guadagno che ribadisce: «non risulta provata la mancanza di dissenso da parte delle persona offesa».
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