Le scuse del giudice per la 27 enne suicida in cella: «Io e il sistema abbiamo fallito»

Donatella Hodo si è tolta la vita inalando gas nel carcere di Verona. Il magistrato di sorveglianza: «Dove ho sbagliato?»

Donatella Hodo, 27 anni, si è uccisa inalando del gas nel carcere veronese di Montorio lo scorso 2 agosto. La donna aveva problemi di dipendenza. Era reclusa per alcuni furti in negozi per comprare la droga. Era in attesa che venisse predisposta per lei una misura alternativa al carcere. Il giudice di sorveglianza Vincenzo Semeraro ha scritto una lettera aperta, letta ai funerali di Hodo, nella quale si è autoaccusato e si è scusato. «È da una settimana, da quando Donatella ha attuato il suo tragico gesto, che continuo a pormi mille interrogativi. Dove ho sbagliato, in che cosa? Ogni volta che una persona detenuta in carcere si toglie la vita, significa che tutto il sistema ha fallito. Nel caso di Donatella, io ero parte del sistema visto che seguivo il suo caso da sei anni. Quindi, come il sistema, anche il sottoscritto ha fallito», dice oggi al Corriere della Sera.


La storia di Donatella Hodo

Semeraro dice che conosceva da tempo Donatella: «L’ultima volta che sono andato a farle visita nel penitenziario, lo scorso giugno, avrei potuto dirle due parole in più? Perché, nonostante la conoscessi da quando aveva 21 anni, non ho captato che il malessere era divenuto per lei così profondo?». E sostiene che il giudice in questi casi debba comportarsi come uno psicologo: . «Quando sei magistrato dell’ Esecuzione e gestisci le varie vicende carcerarie e detentive, non hai a che fare solo con un detenuto ma innanzitutto con una persona. Uomini, donne con storie diverse. Non vanno trattati come numeri, come pedine di un ingranaggio, ma come individui differenti l’uno dall’altro. Sono persone, certo recluse in cella, ma pur sempre persone».


Per lei Semeraro aveva preparato un affidamento al Sert. E secondo il giudice le attuali misure non sono idonee per il genere femminile: «Aveva bisogno di un adeguato sostegno psicologico, un servizio di supporto che l’intero sistema non riesce a garantire non solo nel carcere di Verona ma in tutti i penitenziari d’ Italia. Le strutture detentive non sono a misura di donna, le detenute vanno approcciate in modo totalmente diverso, hanno un’emotività che non ha nulla a che fare con quella maschile. Vanno seguite in modo specifico e del tutto peculiare. Per Donatella ciò non è avvenuto».

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