Ue verso lo stop di prodotti da «lavoro forzato», l’ultimo avvertimento di Bruxelles a Pechino

Il piano della Commissione Ue arriva dopo il divieto di importazione dalla provincia cinese dello Xinjiang, dove un rapporto Onu accusa la Cina di crimini contro la minoranza uigura

Divieto di circolazione e vendita di tutti i prodotti realizzati con il lavoro forzato, sia realizzati all’interno dell’Unione Europea che importati dall’estero. È la proposta lanciata oggi dalla Commissione europea, che secondo il commissario per il mercato interno Thierry Breton dimostra la volontà di essere «più assertivi nel difendere i nostri valori» e «affrontare la schiavitù moderna». Il nuovo regolamento dovrebbe entrare in vigore tra circa due anni, dopo i confronti con il Parlamento europeo e il Consiglio. Entro 18 mesi dall’entrata in vigore, poi, la Commissione fornirà tutte le linee guida necessarie e creerà un «Network Ue sui prodotti del lavoro forzato», che servirà come piattaforma di coordinamento tra le autorità competenti e la Commissione stessa.


Ma a chi toccherà far rispettare il nuovo regolamento? Secondo quanto emerso finora, alle autorità doganali. L’entrata in vigore del provvedimento, infatti, doterà tutti i Paesi membri del potere di ritirare dal mercato i prodotti realizzati con il lavoro forzato, in base a quanto emergerà dalle indagini. Più nel dettaglio, il divieto di circolazione dei prodotti dovrà avvenire solo in seguito a una valutazione preliminare del rischio di lavoro forzato sulla base di diverse fonti. Non solo l’operato delle forze dell’ordine, dunque, ma anche gli organi di stampa e «i contributi della società civile». Saranno le autorità, poi, ad avviare le relative indagini sui prodotti sospetti, chiedendo informazioni alle aziende, svolgendo ispezioni (anche in Paesi extra Ue) e ordinando quindi il ritiro o il divieto di ingresso di prodotti realizzati con lavoro forzato.


50 milioni di persone vittime di schiavitù moderna

Ma cosa si intende di preciso con «lavoro forzato»? La Commissione europea precisa che si rifarà alle definizioni concordate a livello internazionale. In altre parole, all’Onu, che tramite l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo) definisce il lavoro forzato come «ogni lavoro o servizio imposto sotto minaccia di sanzioni e per il quale la persona non si è offerta spontaneamente». La decisione della Commissione europea arriva a pochi giorni di distanza dall’ultimo rapporto dell’Ilo, che evidenzia un aumento delle vittime di schiavitù moderna in tutto il mondo. Secondo l’agenzia dell’Onu, sarebbero 28 milioni le persone sottoposte a lavori forzati, a cui se ne aggiungono altre 22 milioni costrette in matrimoni forzati, per un totale di 50 milioni di vittime della schiavitù moderna, 10 milioni in più rispetto al 2016.

Una mossa anti-Cina?

Secondo il New York Times, la decisione dell’Unione Europea di vietare tutti i prodotti provenienti da lavoro forzato va interpretata come un avvertimento a Pechino. In particolare, fa notare il giornale americano, la proposta della Commissione fa seguito a un’altra presa di posizione netta dell’Unione Europea, che nei mesi scorsi aveva vietato l’importazione di tutti i prodotti provenienti dallo Xinjiang, la regione dove – secondo un rapporto dell’Onu – il governo cinese avrebbe commesso crimini contro i diritti umani della minoranza etnica uigura. Secondo il New York Times, dunque, la proposta della Commissione dimostrerebbe ancora una volta come l’Unione Europea consideri la Cina «un partner ma allo stesso tempo anche un rivale sistemico».

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