Napoli, fece cadere il piccolo Samuele dal balcone: condannato a 18 anni il domestico Mariano Cannio

Il 39enne ha voluto anche parlare spontaneamente in aula, riconoscendo le proprie responsabilità. Dichiarazioni che il suo stesso avvocato ha definito non attendibili perché indotte dal suo stato di salute precario

È stato condannato a 18 anni di carcere Mariano Cannio, il domestico 39enne accusato dell’omicidio di Samuele, il piccolo di 4 anni morto il 17 settembre dello scorso anno a Napoli. Il bimbo era stato lasciato cadere dal balcone della casa in cui viveva con la sua famiglia in via Foria. La sentenza del gup Nicoletta Campanaro è arrivata oggi 27 settembre alla fine del processo celebrato con rito abbreviato. Accolta la richiesta di condanna della procuratrice Barbara Aprea che ha contestato a Cannio, risultato affetto da patologie psichiatriche ma capace di intendere e volere, il reato di omicidio aggravato.


L’avvocato non esclude l’ipotesi incidente

Il domestico è stato difeso dal suo legale Maria Assunta Zotti nell’udienza di oggi, 27 settembre. L’avvocato ha riferito che il giorno della tragedia il suo assistito stava facendo le pulizie a casa dei genitori del bambino, i quali sono invece assistiti dal legale Domenico De Rosa, e non ha escluso la tesi dell’incidente. Il piccolo, a suo avviso, potrebbe essersi sporto dopo essere salito su qualche oggetto presente sul balcone. Cannio ha reso dichiarazioni di colpevolezza, ma secondo il suo avvocato non sono del tutto attendibili perché potrebbero essere state indotte dal suo stato di salute precario.


Come si era arrivati al nome di Cannio

Secondo quanto emerso lo scorso anno, quando è accaduto il fatto, a riferire alla polizia della presenza in casa del domestico nel momento della morte di Samuele era stata proprio Carmen, la madre del piccolo. Da lì era partita la caccia all’uomo. Il profilo di Mariano Cannio in questi anni è stato descritto come problematico e dal carattere chiuso. L’accusato già nell’udienza di settembre 2021 aveva fatto alcune ammissioni parziali dicendo: «A un tratto l’ho preso in braccio e sono uscito fuori dal balcone. Giunto all’esterno con il bambino tra le braccia, mi sono sporto a ho lasciato cadere il piccolo. Ho immediatamente udito delle urla e mi sono spaventato, consapevole di essere la causa di quello che stava accadendo». La famiglia di Samuele prima della morte del piccolo non era a conoscenza delle condizioni di salute di Cannio.

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