Alessia Pifferi, il gip nega per la seconda volta una consulenza neuroscientifica: «Si è sempre dimostrata consapevole»

La difesa della 37enne aveva chiesto di introdurre nel carcere un docente per una valutazione cognitiva. I legali: «La giustizia nega il diritto di difendersi provando»

È stata respinta dal gip di Milano Fabrizio Filice anche la seconda istanza presentata dalla difesa di Alessia Pifferi, la 37enne arrestata a fine luglio per omicidio volontario aggravato per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana di un anno e mezzo abbandonandola da sola in casa per sei giorni, con la quale i legali chiedevano di poter far entrare in carcere uno dei docenti da loro scelti per redigere una consulenza neuroscientifica. Nel respingere la richiesta, avanzata dagli avvocati Luca D’Auria e Solange Marchignoli, il gip ha specificato che «anche dopo l’ingresso in carcere, come attestano le relazioni del Servizio di psichiatria interna, (Pifferi, ndr) si è sempre dimostrata consapevole, orientata e adeguata, nonché in grado di iniziare un percorso, nei colloqui psicologici periodici di monitoraggio, di narrazione ed elaborazione del proprio vissuto affettivo ed emotivo».


La consulenza richiesta, quindi, «non si aggancerebbe ad alcun elemento fattuale», anche perché Pifferi non ha alcuna «storia di disagio psichico» nel suo passato. Il gip ha chiarito che anche la stessa difesa non punterebbe a una valutazione sulla capacità di intendere e di volere della donna al momento del fatto, ma punterebbe a sondare il cosiddetto “elemento soggettivo del reato“, ossia il tipo di dolo o eventualmente di colpa (ipotesi meno grave) nei comportamenti avuti. E un’analisi del genere non può essere introdotta senza il contraddittorio delle parti (ossia fuori da una perizia), perché, scrive il gip, «potrebbe condizionare, una volta veicolata nel processo con una relazione, il necessario processo interpretativo del giudice, pretendendo di ancorarlo a un dato “scientifico”, piuttosto che a una valutazione dell’intenzione della donna, che ha agito in quel modo, tratta dai dati di manifestazione esterna della sua condotta».


Il gip, comunque, afferma che, essendoci «suggestive adesioni in campo accademico» sul fronte dell’utilizzo delle neuroscienze, non si può escludere «una possibile utilità della prova neuroscientifica come supporto al processo decisionale del giudice», ma dovrà essere semmai proprio il giudice a disporre una perizia sul punto, se la riterrà necessaria. La decisione del gip è stata contestata dai legali di Pifferi: «La difesa non può arrendersi di fronte all’ennesimo diniego alla richiesta finalizzata a capire cosa sia successo nel cervello della propria assistita. È troppo facile chiudere la partita bollando Alessia come un mostro bruciandola sul rogo mediatico. La giustizia nega il diritto di difendersi provando. Come se le neuroscienze fossero qualcosa che può entrare nel processo solo per valutare l’infermità mentale, quando invece studiano i percorsi cognitivi e l’intenzionalità di tutte le attività umane».

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