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Chi era Davide Rebellin, l’ex campione di ciclismo travolto in bici: dai successi all’incubo del doping

30 Novembre 2022 - 21:22 Redazione
Una carriera da professionista lunga 30 anni a cui aveva messo un punto solo un mese fa: il percorso di un atleta che ha segnato la storia del ciclismo italiano

Una carriera da professionista lunga 30 anni, cominciata nel 1992, che l’ha reso uno dei più vincenti della storia del ciclismo italiano. Davide Rebellin è morto oggi, 30 novembre, all’età di 51 anni urtato e travolto da un camion vicino allo svincolo autostradale di Montebello Vicentino. La sua ultima corsa prima del ritiro era stata la Veneto Classic lo scorso 16 ottobre in cui si classificò al 30esimo posto. Nato il 9 agosto 1971 a San Bonifacio (Verona) ma cresciuto a Madonna di Lonigo (Vicenza), Rebellin fu tra i protagonisti della gara su linea – all’epoca riservata ai dilettanti – delle Olimpiadi di Barcellona 1992, vinta dal suo compagno di squadra Fabio Casartelli, poi morto per una caduta in discesa durante il Tour de France 1995. Da qui approdò tra i professionisti.

L’avvio tra i professionisti

Rebellin comincia tra le fila dei professionisti posizionandosi come specialista delle classiche del Nord Europa vincendo: l’Amstel Gold Race nel 2004, tre edizioni della Freccia Vallone (nel 2004, 2007 e 2009), una Liegi-Bastogne-Liegi nel 2004, oltre a una tappa al Giro d’Italia nel 1996. L’anno dopo corre per una squadra francese, la Francaise des Jeux, e decide di tentare il Tour de France, senza grandi risultati. Partecipa poi a due gare di Coppa del Mondo subito dopo il Tour: la Classica di San Sebastian e il G.P. di Svizzera. L’ultima vittoria da professionista fu quella del 6 maggio 2018 all’età di 37 anni, nella terza tappa del Tour International de la Wilaya d’Oran, che poi concluse al secondo posto nella classifica generale, alle spalle di un compagno di squadra, il belga Laurent Evrard. L’atleta aveva deciso di mettere un punto alla sua carriera nel ciclismo professionale solo un mese fa, dichiarando: «Smetto. Però non so se smetto, se smetto davvero. Di gareggiare sì, ma con la bicicletta non si smette mai. Io, almeno, credo di non smettere mai».

L’incubo del doping: «Un’ingiustizia pagata cara»

Il 9 agosto 2008 conquistò alle Olimpiadi di Pechino la medaglia d’argento nella prova di linea, superato in volata a pochi metri dal traguardo dallo spagnolo Samuel Sanchez. Una medaglia che venne tolta d’ufficio per una controversa storia di doping. Il 28 aprile di quell’anno risultò positivo al «Cera», a seguito di numerose analisi effettuate su campioni di sangue prelevate durante i Giochi Olimpici e congelati. Il 17 novembre successivo gli venne revocata la medaglia d’argento olimpica per doping e gli venne ordinata la restituzione. L’atleta ha sempre rivendicato la sua innocenza e il giorno successivo impugnò la sentenza tramite i suoi avvocati. Alla stampa denunciò presunte anomalie nelle procedure di analisi di doping. Dopo 7 lunghi anni, il 30 aprile 2015 venne assolto dal Tribunale di Padova dalle accuse di doping e anche di evasione fiscale perché «il fatto non sussiste». La medaglia non gli fu però mai restituita. E per lui restò «un’ingiustizia pagata cara».

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