Il thread si chiama Twitter Files e ad aprirlo è il freelance Matt Taibbi. Con la benedizione di Elon Musk. Racconta una storia molto imbarazzante per il social network, perché porta alla luce un sistema strutturato di controllo dei tweet. Che alla vigilia delle elezioni del 2020 si attivò per manipolare e censurare le informazioni del caso di Hunter Biden, il figlio del presidente degli Stati Uniti, finito in una oscura storia di consulenze con paesi stranieri e frodi fiscali. E fa il gioco del nuovo proprietario, che non a caso ha annunciato la pubblicazione sul suo account. Secondo la ricostruzione di Taibbi rappresentanti dei partiti e delle istituzioni avrebbero avuto un canale di comunicazione diretta con Twitter per chiedere di togliere o verificare post “sgraditi”. Un meccanismo «alla Frankenstein», secondo il giornalista, costruito dagli umani e sfuggito loro di mano.
The Twitter Files
La storia comincia il 14 ottobre 2020. Il New York Post pubblica la vicenda delle email segrete del computer di Hunter Biden. Nei documenti un certo Vadym Pozharsky, membro del consiglio d’amministrazione di Burisma – l’azienda del gas ucraina che lo aveva assunto come consulente con uno stipendio da 50mila dollari al mese – ringrazia il figlio dell’allora vicepresidente per avergli fatto incontrare il padre durante una visita a Washington. Joe Biden aveva sempre negato influenze di questo tipo. Si parla anche di un filmato che ritrae Hunter mentre fuma crack. A quel punto, secondo la ricostruzione di Taibbi, Twitter intraprende «passi eccezionali» per sopprimere la storia. I tecnici della piattaforma avrebbero anche bloccato la possibilità di passare il link dell’articolo attraverso i messaggi diretti. Tanto che la portavoce della Casa Bianca Kaleigh McEnany non riesce ad accedere al suo account per ritwittare la storia. E lo staff della campagna di Donald Trump invia una lettera furiosa a Twitter.
La richiesta
Secondo quanto sostengono il giornalista autore dello scoop e lo stesso Musk, Twitter interviene dopo aver ricevuto una richiesta dallo staff di Biden. Caroline Strom, all’epoca responsabile della public policy del social network, chiede chiarimenti. La risposta sulla motivazione della censura fu che l’account stava pubblicizzando materiale hackerato. L’allora CEO Jack Dorsey scrive in una mail interna che la censura è più grave della storia stessa. Repubblicani e democratici chiedono spiegazioni. Quello che emerge alla fine è che gli addetti al controllo abbiano agito in modo troppo zelante perché spinti dal loro tifo per il Partito Democratico. Probabilmente sulla scorta del 2016, quando l’hackeraggio del computer di Hillary Clinton aiutò la vittoria di Trump alle urne. Da questa vicenda, forse al di là delle intenzioni di Musk, la vecchia governance di Twitter ne esce in qualche modo rafforzata. Ma non finisce qui: è lo stesso tycoon ad annunciare una seconda puntata a breve.
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