«Il silenzio non è mai consenso»: così il Gip rinvia a giudizio un uomo accusato di aver stuprato una 27enne con fragilità psichiche

I fatti risalgono al maggio 2019. La procura aveva chiesto l’archiviazione

Per l’imputabilità in un caso di violenza sessuale non è necessario che la presunta vittima abbia espresso esplicito dissenso. Lo ha deciso il giudice per le indagini preliminari di Milano, che ha ordinato l’imputazione coatta nei confronti di un uomo di 32 anni accusato di aver stuprato una ragazza di 27 anni con fragilità psichiche che nel frattempo si è tolta la vita. I fatti risalgono al maggio 2019. La 27enne aveva trascorso una serata sui Navigli con un’altra donna a cui era legata sentimentalmente. Non aveva trovato un mezzo pubblico per tornare a casa e allora aveva accettato il passaggio di un ragazzo napoletano alla guida di un furgone che portava cibo in città. «Lui mi disse “ti accompagno a casa, una ragazza come te non può stare per strada”. E io mi fidai», ha raccontato lei a verbale. L’uomo parcheggiò sotto casa sua e la trascinò dentro. Nell’occasione «smisi di parlare, mi chiusi a riccio e gli diedi la schiena», scappando solo dopo che l’uomo si era addormentato. Il pubblico ministero ha chiesto l’archiviazione perché ad avviso dell’accusa c’era la possibilità che il 32enne avesse «frainteso il silenzio della ragazza per l’ora tarda e la stanchezza». Il gip ha ribattuto che «non esiste alcun indice normativo che possa porre a carico del soggetto passivo un onere, neppure implicito, di espressione del dissenso alla intromissione di terzi nella sfera di intimità sessuale». Concludendo che invece «si deve presumere tale dissenso laddove non esistano indici chiari e univoci volti a dimostrare l’esistenza di un (sia pur tacito ma in ogni caso inequivoco) consenso».


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