È morto Sinisa Mihajlovic, addio al campione che combatteva contro la leucemia

L’ex difensore di Stella Rossa, Roma, Sampdoria, Lazio e Inter e allenatore da ultimo del Bologna si è spento all’età di 53 anni. Combatteva da tre anni con la leucemia

È morto all’età di 53 anni Sinisa Mihajlovic, l’ex calciatore di Sampdoria, Lazio e Inter e allenatore, dopo altre esperienze, del Bologna, che aveva guidato fino a pochi mesi fa. Dal 2019 combatteva contro una forma acuta di leucemia: una battaglia che aveva reso pubblica, con coraggio, determinazione e ironia, divenendo un testimone amatissimo – ben oltre i confini di Bologna – della lotta contro questa malattia che colpisce circa 8mila nuove persone ogni anno solo in Italia. La situazione dell’ex tecnico del Bologna si era aggravata negli ultimi giorni, con la voce che si era sparsa sui social in particolare tra i tifosi rossoblù: molti tra loro avevano aggiornato i loro profili con una foto di Mihajlovic e scritto messaggi di vicinanza all’ex allenatore. La conferma del decesso dell’allenatore serbo è arrivata dalla famiglia: «La moglie Arianna, con i figli Viktorija, Virginia, Miroslav, Dusan e Nikolas, la nipotina Violante, la mamma Vikyorija e il fratello Drazen, nel dolore comunicano la morte ingiusta e prematura del marito, padre, figlio e fratello esemplare, Sinisa Mihajlovic».


Il mancino indimenticabile al centro della difesa

Nato a Vukovar, in Croazia, nel 1969, Mihajlovic aveva trascorso quasi tutta la sua vita adulta e carriera sportiva in Italia. Prima di approdare alla sua prima squadra italiana, il difensore aveva fatto in tempo però, giovanissimo, ad alzare la Coppa dei Campioni con la Stella Rossa, la gloriosa squadra di Belgrado in cui era approdato proprio pochi mesi prima, nel 1990. Dal 1992, il trasferimento in Italia: alla Roma prima, per due stagioni, quindi nella squadra di cui si sarebbe imposto come leader, la Sampdoria. Indimenticabili, negli anni in maglia blucerchiata, oltre alle qualità di arcigno difensore, le sue punizioni di mancino capaci di trafiggere una lunga serie di portieri. Nel 1998, divenuto uno dei migliori difensori della Serie A, il ritorno a Roma, sponda Lazio. Sei stagioni in cui Mihajlovic si regalava finalmente nuovi titoli, e la consacrazione europea: lo storico scudetto nel 2000, due Supercoppe italiane (1998 e 2000) e due Coppe Italia (2000 e 2004), ma anche una Coppa delle Coppe e una Supercoppa europea (1999). Le ultime due stagioni da protagonista in campo Mihajlovic le vive all‘Inter, dove gioca dal 2004 al 2006, collezionando altre due Coppe Italia e uno scudetto, assegnato a tavolino ai nerazzurri dopo lo scandalo di Calciopoli.


Dal campo alla panchina

Di temperamento caldo, Mihajlovic è stato da giocatore al centro di numerosi scontri in campo e controversie. Tra le più note, quella che lo oppose nel novembre 2003 all’attaccante rumeno Adrian Mutu, che gli costò una maxi-squalifica dall’Uefa di otto giornate oltre a una multa da oltre 12mila euro. Un “sangue caldo”, mescolato a un temperamento da leader e a una innata intelligenza tattica, che il difensore slavo mise a frutto per passare dal campo alla panchina. Dopo il ritiro Mihajlovic intraprende subito la carriera di allenatore, chiamato a fianco a sé nel ruolo di vice da Roberto Mancini all’Inter. Nel novembre 2008 la prima nomina a tecnico del Bologna: un’avventura durata pochi mesi, ma che vale alla squadra rossoblu la salvezza dalla retrocessione. Miha riparte per altre esperienze. Nel dicembre 2009 è chiamato a guidare il Catania, riuscendo a portare gli etnei a battere l’Inter di Mourinho e la Juventus, e concludendo il campionato al 13esimo posto. A giugno 2010 lascia il club siciliano e approda sulla panchina della Fiorentina, che allena per un anno e mezzo. Esonerato dai viola a novembre 2011, nel 2012 2012 Mihajlovic passa alla guida della nazionale serba. Non riesce a centerare però la qualificazione ai Mondiali del 2014, e il rapporto con la Federazione di Belgrado s’interrompe.

A novembre 2013, torna a Genova sulla panchina della squadra che lo ha lanciato e consacrato, la Sampdoria, che guida per due stagioni. Nel 2015 il salto a una grande squadra, con l’approdo sulla panchina del Milan. Non basta una finale di Coppa Italia, persa contro la Juventus: l’avventura rossonera dura una sola stagione. L’anno successivo Miha ricomicia dal Torino: il feeling con giocatori e tifosi funziona, il club centra il nono posto in classifica. Ma la stagione seguente è meno brillante, e a gennaio 2018 Sinisa subisce ancora un esonero. Dopo una brevissima parentesi allo Sporting Lisbona, dove rimane l’estate seguente per soli nove giorni, a gennaio 2019 Mihajlovic viene richiamato a Bologna dopo l’esonero di Filippo Inzaghi, riuscendo ancora una volta non solo a salvare i rossoblù dalla retrocessione, ma a risollevarli fino alla decima posizione.

La lotta contro la leucemia

Alla fine di quella stagione, nel luglio 2019, Mihajlovic annuncia pubblicamente di soffrire di leucemia mieloide acuta. Da quel giorno, e per lunghi mesi, Bologna, il calcio italiano e non solo si stringono accanto a lui, lo incoraggiano e lo sostengono – anche nei giorni più difficili del lungo ricovero in ospedale. E lui risponde alla sua maniera: col sorriso sulla bocca, tiene tutti informati, ringrazia, e di fatto non smette mai di allenare – anche se per lunghi mesi da lontano dal campo. Dopo i trattamenti e le cure, torna a sedersi in panchina finalmente nel maggio 2022. Il Bologna resta sempre in Serie A, e lui alla guida. Fino all’inizio di settembre, quando dopo una serie di risultati non soddisfacenti e qualche malinteso con la società il club decide di sollevarlo dall’incarico. Storia di pochi mesi fa. La battaglia di Sinisa è finita, il suo coraggio e la sua testimonianza restano negli occhi e nel cuore di tutti. Miha lascia una moglie – Arianna Rapaccioni, sposata nel 2005 -, cinque figli – Viktorija, Virginia, Miroslav, Dusan e Nicholas – ed una nipotina, nata nel 2021 da nata dalla relazione tra la figlia Virginia e il calciatore Alessandro Vogliacco.

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