Caro carburanti, il prezzo sale anche perché ci sono troppi distributori: in Italia 21mila, il doppio di Francia e Spagna

Ogni impianto ha dei costi fissi che non si possono tagliare e per questo l’eccessiva frammentazione non stimola la concorrenza

Ci sono le accise, che insieme all’Iva incidono per circa il 60 per cento sul prezzo finale. Poi il costo della materia prima, il trasporto, i costi strutturali – e per le aree di servizio autostradali anche le royalty alle concessionarie -, ed ecco che il margine lordo, su cui la compagnia può intervenire per sforbiciare il prezzo, si assottiglia. È così che la proliferazione di erogatori, invece di incentivare le compagnie petrolifere ad abbassare i prezzi per attirare il consumatore e stimolare la concorrenza, diventa un fardello per i tanti distributori italiani, 21mila in tutta Italia. Troppi, secondo Unione petrolifera, che sottolinea come siano più del doppio rispetto a Francia e Spagna, mentre in Germania – il secondo Paese in Europa per numero di pompe di carburanti – ce ne sono circa 14mila. E non è solo un problema di numero di distributori, ma anche di erogato medio. In Italia si aggira su 1.3 milioni di litri annui per stazione, mentre il volume medio in Francia è di 3.9 milioni, in Germania di 3.7 milioni e in Spagna di 2.5. Perché un problema? Perché ogni impianto ha dei costi fissi, e con un erogato medio sempre più basso, il singolo gestore non ha molto margine per ridurre il prezzo del carburante.


Come incide sul prezzo finale

Puntando i riflettori sulle autostrade, il dato non cambia molto. In Italia, su oltre 7mila chilometri di rete autostradale ci sono 476 aree di servizio – secondo i dati Unem, che rappresenta le principali aziende che operano in Italia nel settore -, e la distanza media tra l’una e l’altra è pari a 29,2 km. Una tale abbondanza dovrebbe favorire la concorrenza, incentivando un abbassamento del prezzo dei carburanti, ma non è così. Questo perché i costi fissi sono elevati e non lasciano molto margine alla compagnia per intervenire. Chi opera nel settore ne è certo: è necessaria una razionalizzazione degli impianti su tutta la rete. Riducendone il numero, aumenterebbe l’erogato medio di ciascun distributore, e quindi il profitto del gestore. Uno degli ostacoli a questo processo è l’eccessiva frammentazione degli operatori. Negli ultimi 20 anni è cambiato il mercato, oggi ci sono 5-6 grandi player, altri 270 marchi medi e poi altri 4-500 operatori indipendenti che hanno uno due punti vendita. «Troppi litri dispersi su troppi impianti, », spiega il presidente Anisa Massimo Terzi, «ci sono 100-150 impianti di troppo». I rappresentanti dei gestori non ne chiedono la chiusura, ma «una riconversione, in aree di sosta attrezzate, magari che offrano anche servizi non oil adeguati alle nuove tipologie di mobilità», come le colonnine di ricarica per le macchine elettriche.


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