Caro benzina, la protesta dei distributori: «Gli unici a guadagnare sono i concessionari autostradali»

Con la fine dello sconto sulle accise, il prezzo del carburante è salito immediatamente di circa 16 centesimi, facendo infuriare gli automobilisti. Ma i gestori delle aree di rifornimento respingono le accuse di speculazione: «Vanno riviste le gare d’appalto»

La fine dello sconto di 18,3 centesimi di euro sulle accise dei carburanti introdotto dal governo Draghi a marzo del 2022 e prorogato fino al 31 dicembre ha provocato l’aumento immediato del prezzo del carburante di circa 16 centesimi, facendo infuriare gli automobilisti. Nei primi giorni del nuovo anno, alcuni distributori hanno applicato prezzi superiori ai 2 euro, allarmando il Codacons e il governo Meloni che ha puntato il dito contro la speculazione dei gestori. La Guardia di finanza ha intensificato i controlli su tutto il territorio a caccia dei furbetti e l’esecutivo ha introdotto nuove misure, per monitorare il prezzo del carburante e un tetto massimo al prezzo praticabile in autostrada. La premier ha poi spiegato di aver preferito «concentrare le risorse su chi ne aveva più bisogno». Ma la Figisc, la Federazione italiana che tutela i gestori degli impianti di carburante, non ci sta a essere indicata come la nemica dei consumatori e risponde con fermezza alle accuse del governo. «Questa è una caccia alle streghe, una tempesta perfetta in un bicchiere d’acqua», spiega il Segretario generale nazionale Paolo Uniti, «i prezzi in autostrada sono aumentati sì, ma meno dei 18 centesimi del taglio alle imposte, e ai cittadini si vuol far credere che la colpa sia dei benzinai per evitare di parlare della fine dello sconto sulle accise. Tanto più che prima dell’introduzione dello sconto il carburante costava più di oggi, eppure non c’era questa agitazione».


La composizione del prezzo del carburante

Le imposte pesano per circa il 60 per cento sulla composizione del prezzo del carburante. Il restante 40 è per due terzi assorbito dal costo delle materie prime e dal trasporto, e ciò che rimane è il margine che rimane ai gestori del distributore. Fare rifornimento in autostrada è sempre costato di più rispetto alla rete ordinaria, perché a questa equazione bisogna aggiungere altri costi: principalmente royalty, ma anche presidio 24 ore al giorno di personale dedicato e manutenzione degli impianti. A spiegarci quanto tutto ciò incida sul prezzo finale – non solo del carburante, ma anche dei servizi offerti nell’area di sosta – è Massimo Terzi, presidente nazionale di Anisa Confocommercio, l’associazione che raggruppa i gestori delle aree di servizio carburanti della rete autostradale. Le stazioni di rifornimento in autostrada vengono affidate con gare d’appalto, della durata di 9 anni. Per aggiudicarsi l’asta, compagnia petrolifera e subconcessionario fanno un’offerta di royalty pro-litro – quanto incasserà il gestore autostradale per ogni litro venduto dalla compagnia – e una di tipo tecnico, sul tipo di servizi che verranno offerti e sulla manutenzione degli impianti. Per assorbire questi costi aggiuntivi, il prezzo di benzina e diesel in autostrada lievita. «Negli ultimi 10 anni le autostrade hanno perso circa il 70 per cento dei propri volumi di vendita di carburante», denuncia Terzi, «questo dipende dal prezzo più alto rispetto alla rete ordinaria, certo, ma il prezzo è appesantito dalle royalty che vengono date al gestore e non sono più sostenibili: spesso sono più alte del margine di profitto». Il gestore del distributore, spiega ancora, ha un margine di 6-7 centesimi pro litro, mentre alla concessionaria spettano in media 8 centesimi pro litro.


Secondo i dati in possesso di Anisa, sulla rete ordinaria i volumi di vendita di carburante sono tornati ai livelli pre pandemia, anzi in leggero aumento nel 2022 rispetto al 2019 (+1,5%). In autostrada invece, prendendo come riferimento gli stessi due anni, c’è stato un crollo del 20 per cento. «Anche dove ci sono prezzi simili a rete ordinaria, perdiamo gli stessi volumi», spiega Terzi. «Ancora, i viaggiatori sanno che in autostrada la benzina costa di più e fanno il pieno altrove, ma non solo: anche un caffè, un panino, una bottiglietta d’acqua costano molto di più», prosegue, «e il motivo è sempre lo stesso, il concessionario alza i costi di tutti i prodotti in vendita per provare a far quadrare i conti, ma così facendo allontana il consumatore». Tutti scontenti, quindi? Quasi. «L’unica che guadagna in questo settore è la concessionaria dell’impianto: anche la compagnia petrolifera, per non parlare del distributore, è in perdita», aggiunge il presidente Anisa, che ha ben chiaro come si potrebbe provare a invertire questa tendenza.

Le richieste dei distributori

Il presidente dei gestori delle aree di servizio non nasconde il malcontento per una situazione che li vede in trincea da diversi anni ormai. Non è la prima volta che, come Anisa, viene denunciata la situazione di crisi dei distributori, e la polemica sull’impennata dei prezzi scaricata sulla presunta speculazione dei «benzinai» è qualcosa che la Federazione non può accettare. «È assurdo che i concessionari autostradali, grazie alle royalty, abbiano margini più alti dei distributori», denuncia Terzi, «per risolvere la questione, tanto per cominciare, il costo della struttura dovrebbe gravare sulla concessionaria». Secondo Terzi, il problema è nelle gare d’appalto, e non solo nella parte relativa alle royalty. Nell’offerta tecnica, la compagnia petrolifera e il subconcessionario promettono di farsi carico dei costi di gestione della struttura e della ristrutturazione degli impianti, ma le migliorie rimangono poi al concessionario, che dopo 9 anni può indire una nuova gara. «Gli automobilisti già pagano i pedaggi», continua il presidente Anisa, «poi si fermano nelle aree di servizio e pagano tutto di più, dal carburante al cibo.

Un ulteriore balzello, e questo perché il gestore ha tantissimi oneri e margini di profitto sempre più bassi. Per abbassare davvero i costi del carburante in autostrada, basterebbe spostare gli oneri tecnici alla concessionaria autostradale». E aggiunge: «Le gare che il concessionario fa per l’attribuzione, dato che si tratta di un bene pubblico, dovrebbero tenere conto non di quanto sono disposti a pagare in royalty le compagnie ma della qualità dei servizi che esse si impegnano a offrire, perché il cliente ha diritto ad avere standard elevati, prezzi giusti e ampia gamma di servizi». «L’ideale per noi», aggiunge infine, «sarebbe 0 royalty e benzina a 1 euro: non saremmo costretti ad applicare prezzi più alti rispetto alla rete ordinaria e i viaggiatori tornerebbero volentieri a fare rifornimento da noi».

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