Altro guaio per Croce, lo scienziato italiano più autorevole (e discusso) del mondo. Gli fanno causa anche i suoi avvocati

Attaccato su New York Times e Nature per presunte irregolarità nei suoi lavori, lo studioso rifiuta di pagare i legali che l’hanno assistito. E a farne le spese potrebbero essere i quadri barocchi che possiede

Dopo il New York Times, anche i suoi avvocati attaccano il dottor Carlo Croce, oncologo italiano in forze alla Ohio State University, che per anni è stato considerato il miglior ricercatore nel suo ambito accademico stando all’H-Index dal database di letteratura scientifica Scopus. Lo studio legale “Kegler Brown Hill + Ritter” a cui Croce si è affidato nella causa per diffamazione persa contro il New York Times, chiede al professore un milione di dollari, che però lui non ha nessuna intenzione di elargire, dato che ritiene di non essere stato rappresentato adeguatamente. E nel frattempo, lo studio gli chiede di vendere i propri quadri barocchi se dovesse avere problemi di liquidità. Ma andiamo con ordine.


L’accusa di plagio, falsificazione e irregolarità sul New York Times

Dal 2017, il noto professore italiano, 78enne, ha iniziato una battaglia legale contro il New York Times, che ha riportato i dubbi circa la correttezza etica della sua ricerca scientifica espressi dal professor David Sanders, virologo della Purdue University che si autodefinisce uno «science ethicist». Nello specifico, secondo la testata della Grande Mela, Croce avrebbe ricercato e utilizzato citazioni nel lavoro dei propri colleghi in maniera poco etica e con il preciso intento di fare salire il suo H-Index. Nell’articolo, si parla anche di falsificazioni di dati e plagio. Assieme a Croce sarebbero coinvolte anche altre due ricercatrici italiane, Michela Garofalo e Flavia Picchiorri. In seguito alla rivelazione del New York Times, anche la Ohio State University (Osu) aveva aperto un’indagine interna dopo la quale ha sollecitato Croce a correggere gli errori tecnici e a fare più attenzione nelle pubblicazioni future. Più di recente, la prestigiosa rivista Nature ha reso noto che in un’ulteriore indagine interna alla Osu sono state trovate irregolarità simili a quelle contestate a Croce anche nei lavori scientifici di Garofalo e Picchiorri.


I fondi a Croce per la ricerca sul cancro

D’altro canto, come sottolinea il Corriere della Sera citando altri ricercatori in campo medico, le accuse a Croce non sarebbero slegate dall’invidia per l’ingente quantità di fondi che il professore riceve per finanziare i propri lavori. Solo la Osu lo paga 830 mila dollari l’anno. Mentre il governo degli Usa gli ha finora versato 100 milioni di dollari da usare nella ricerca genetica sul cancro, in cui Croce è specializzato. Contattato dal quotidiano milanese, il professore ha commentato il caso da Columbus, città dell’Ohio dove abita e dove ha sede l’ateneo: «L’indagine della mia università – ha detto – si è chiusa senza esiti e sono tutt’ora Distinguished professor alla State University. Ho anzi chiesto al Board of Trustees di essere risarcito dal mio ateneo perché l’inchiesta, invece di concludersi in 4 mesi, come prescrive la legge, è durata 4 anni». Inoltre il professore fa notare come tutti i suoi lavori siano comunque peer reviewed: I miei studi hanno «una percentuale di errore in laboratorio dell’1,2%, non mi pare alta», sottolinea Croce.

La battaglia con lo studio legale

Ma quindi, su cosa si basa il contenzioso di Croce con lo studio legale? Gli avvocati sostengono che una volta persa la causa per diffamazione contro il New York Times, Croce non abbia dato loro il compenso pattuito. Dal suo canto, il professore si difende: «Ho già versato loro 750 mila dollari per una causa che in base alle leggi americane aveva comunque poche chance di essere vinta, quindi ritengo di non essere stato assistito in modo efficace. Io volevo il ritiro dell’articolo del New York Times, questa era la ragione
della causa. Non mi hanno detto che è impossibile ottenerla. Quindi continuavano a mandarmi conti per il loro lavoro». Per questo, Croce è intenzionato a ricorrere in appello, se dovesse servire anche affidandosi alla giustizia italiana. Ma certamente non saranno i quadri barocchi a farne le spese: «Ci ho messo anni a comprarli», spiega.

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