Gli affari di Matteo Messina Denaro: dall’eolico ai supermercati, un tesoro da 5 miliardi di euro

In questi trent’anni di latitanza, gli inquirenti hanno cercato di scovare le attività che il boss ha continuato a gestire, tra prestanome e riciclaggio

Trent’anni nell’ombra, fino alla cattura di lunedì 16 gennaio, non hanno impedito a Matteo Messina Denaro di gestire e accumulare un patrimonio di svariati miliardi di euro, investito in attività e immobili. Impossibile avere una stima precisa di quanto abbiano fruttato al boss i suoi affari illeciti, tra prestanome e attività di riciclaggio, ma negli ultimi anni gli inquirenti gli avrebbero già sequestrato beni per circa 5 miliardi di euro. La caccia al boss in questi decenni non si è limitata infatti al tentativo di stanarlo dal suo rifugio – più di uno probabilmente – ma ha inseguito la scia di denaro e di traffici illeciti riconducibili a Messina Denaro.


La grande distribuzione e l’eolico

Tra le inchieste legate agli affari del boss mafioso, c’è quella che ha portato alla condanna a 12 anni di carcere nel 2011 a Giuseppe Grigoli per riciclaggio. Grigoli era considerato il re dei supermercati Despar, con 83 punti vendita tra le province di Trapani e Agrigento e un intero centro commerciale. Due anni dopo la condanna, il tribunale di Trapani dispose la confisca di società, beni immobiliari e terreni intestati all’imprenditore per un valore di 700 milioni di euro. Negli anni il boss si sarebbe interessato anche di energia, puntando sulle rinnovabili e specialmente sull’energia a vento. Secondo gli inquirenti, il prestanome in questo settore è stato Vito Nicastri, l’elettricista diventato re dell’eolico nel giro di vent’anni e che tra il 2002 e il 2006 era l’imprenditore con il più alto numero di concessioni in Sicilia per costruire parchi eolici. La Dia si è interessata al suo profilo e nel 2013 gli ha sequestrato beni e attività per 1,3 miliardi di euro.


Villaggi turistici e il tesoro nascosto

Un altro nome accostato negli anni a quello di Matteo Messina Denaro è quello di Carmelo Patti, ex muratore di Castelvetrano diventato il numero 1 di Valtur e scomparso nel 2016. Come ricostruisce il Fatto Quotidiano, i sospetti degli inquirenti non si sono tradotti in sentenza di condanna, anche se agli eredi è stato confiscato un patrimonio di circa 1,5 miliardi di euro, tra resort e beni. Altri proventi illeciti, secondo gli investigatori, il padrino soprannominato Diabolic e u’ siccu li avrebbe investiti in edilizia, turismo e sale slot, ma anche trasporti marittimi e beni archeologici, cercando di occultarne la provenienza. Gli inquirenti che in questi anni si sono occupati di individuare i flussi di denaro sporco riconducibili al super latitante, ora rinchiuso nel carcere de L’Aquila, sono convinti che il vero tesoro sia ancora da trovare. E la chiave per trovarlo potrebbe essere nei cellulari sequestrati nel covo in cui si era rifugiato.

Edit 20 gennaio 2023: dal gruppo Nicolaus-Valtur riceviamo e pubblichiamo:

“Accostare in maniera irrispettosa ed errata Matteo Messina Denaro al marchio Valtur, senza specificare che si fa riferimento al periodo in cui il brand apparteneva alla famiglia Patti, cioè circa 25 anni fa, non equivale solamente ad effettuare una comunicazione pericolosa e totalmente fuorviante ma è fortemente lesivo e dannoso per la proprietà attuale, il Gruppo Nicolaus, azienda solida e dalla reputazione specchiata, che dà lavoro a migliaia di persone ed è un’eccellenza dell’imprenditorialità italiana, stimata su scala internazionale.

Ribadiamo, quindi, con forza che le vicende che vedono associare il nome del capomafia a Valtur risalgono, come precedentemente detto, a circa venti-trenta anni fa e che l’acquisto del marchio Valtur da parte del Gruppo Nicolaus, family company italiana leader del turismo organizzato, è avvenuto nel luglio 2018, da procedura concorsuale che ha interessato la gestione del finanziere Andrea Bonomi, con lo spirito e l’ambizione di ridare il giusto lustro a uno dei marchi per eccellenza del turismo nazionale e internazionale. In questi anni, anche in relazione all’acquisto del brand, è stato messo in campo un notevole sforzo economico e imprenditoriale con la finalità di portare con successo a termine un’impresa che riesce anche a dare prestigio al nostro Paese.

Chiediamo, pertanto, con fermezza a tutti i media di lavorare secondo i principi deontologici che sempre li guidano, e che mettono al primo posto di una notizia il canone di continenza e la sua attendibilità e veridicità. Il danno nei nostri confronti e nei confronti di partner e collaboratori generato dalle notizie di stampa diffuse in questi giorni è enorme sia in termini economici sia dal punto di vista della reputazione. Una buona notizia come l’arresto di un latitante non può ingiustamente infangare chi non ha alcun legame con esso e ogni giorno si impegna per lavorare onestamente e fa quotidianamente della legalità un pilastro della propria cultura aziendale”