In Italia la mafia vale 40 miliardi. Ecco come riconoscerla e perché fa aumentare il Pil – Il rapporto Cgia

La malavita è più presente «nei territori dove l’economia locale è fortemente condizionata dalla spesa pubblica»

In Italia solo il Gestore dei Servizi Energetici di Enel e Eni fattura più del giro d’affari della mafia. Questo è il quadro che emerge dall’ufficio studi della Cgia di Mestre che stima in 40 miliardi di euro – ovvero il 2% del Pil italiano, 10 volte tanto il patrimonio stimato di Matteo Messina Denaro – il volume d’affari annuo di «Mafia Spa». Non si tratta di dati definitivi, ma certamente «sottostimati» assicurano dalla Confederazione Generale degli Artigiani, dato che è particolarmente complicato quantificare i proventi che la mafia ottiene dalle infiltrazioni in attività economiche legali. Il rapporto evidenzia come la malavita sia più presente «nei territori dove l’economia locale è fortemente condizionata dalla spesa pubblica». Spesso questa condizione si associa a una propensione alla corruzione da parte di chi lavora nell’apparato statale, il che facilita l’attività della criminalità organizzata.


Le aree di maggior incidenza

La Cgia evidenzia alcuni reati spia, la cui incidenza è maggiore nelle aree a forte infiltrazione mafiosa. Se il numero di denunce per «estorsione, usura, contraffazione, la lavoro nero, gestione illecita del ciclo dei rifiuti e scommesse clandestine» è particolarmente alto, è molto probabile che l’attività della mafia sia radicata nel territorio in oggetto. La Cgia ribadisce come a vedere la maggior presenza della mafia siano il Mezzogiorno e le aree più ricche del Settentrione e del Centro. Tra le province del Centro e del Nord con un’alta infiltrazione della criminalità organizzata vengono citate Roma, Latina, Genova, Imperia e Ravenna. Meno forte ma comunque preoccupante la presenza per Torino, Novara, Varese, Milano, Bologna, Ferrara, Firenze, Livorno, Ancona e Macerata. Meno a rischio, invece, le province del Triveneto, anche se sono in lieve controtendenza Venezia, Padova, Trento e, in particolar modo, Trieste. Basso rischio anche per Umbria e Valle d’Aosta, mentre completamente «immuni» sarebbero le province di Matera, Chieti, Campobasso e le realtà sarde di Olbia-Tempio, Sassari e Oristano.


BANCA D’ITALIA / Questioni di Economia e Finanza | Mappa della presenza mafiosa

Come il Pil italiano è “aumentato” grazie alla mafia

La Confederazione, poi, denuncia una discrepanza tra intenti dello Stato e legislazione. Che viene definita «imbarazzante. Dal 2014, l’Unione Europea, con apposito provvedimento legislativo consenta a tutti i paesi membri di conteggiare nel Pil alcune attività economiche illegali. Come la prostituzione, il traffico di stupefacenti e il contrabbando di sigarette», si legge nel documento della Cgia. Grazie a questa norma, continua il rapporto citando dati del 2020, all’Italia è stato possibile incrementare il proprio Pil 17,4 miliardi di euro in un colpo solo. Un aumento vicino all’1%. «Da un lato lo Stato combatte e contrasta le mafie» – continua la Confederazione -. «Dall’altro riconosce a queste organizzazioni criminali un ruolo attivo di portatori di benessere economico. In buona sostanza è come se sul piano statistico ammettessimo che anche una parte dell’economia illegale riconducibile a Mafia Spa è «buona e accettabile». Oltre a questi, evidenzia il rapporto, nel Pil italiano vengono conteggiati anche 79,7 sono occultati «dalla sottodichiarazione». Mentre 62,4 miliardi spariscono a causa del lavoro irregolare e altri 15,2 miliardi sono altro nero come mance e affitti. Il rapporto definisce evidente che «una parte importante di questo stock (157 miliardi) sia riconducibile alle organizzazioni criminali di stampo mafioso».

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