I racconti dei genitori degli adolescenti transgender: «Aiuto mio figlio a diventare una donna, ma ho paura dei farmaci e che se ne penta»

I familiari dei giovani che avviano la transizione di genere riuniti nell’associazione GenerAzioneD e il rapporto delicato con i figli

«Avere un figlio o una figlia che desidera farsi amputare delle parti sane del proprio corpo, essere medicalizzati a vita non è certo una festa, come spesso viene fatto credere». A parlare è l’associazione GenerAzioneD, composta da genitori di figli minori, adolescenti o giovani adulti che soffrono di disforia di genere. In un’intervista a cura di Gianluca Nicoletti su La Stampa alcuni genitori si mettono a nudo e raccontano – con la richiesta di anonimato – del rapporto delicato con i propri figli. «Ci siamo costituiti in un’associazione per chiedere maggiore riflessione e attenzione su un tema così divisivo come quello della disforia di genere. Sappiamo che saremo subito attaccate come transfobiche, retrograde, bigotte e quanto altro. Vogliamo solo assicurarci di aver fatto tutto ciò che è possibile per il benessere dei nostri figli», spiegano. Ma ci tengono a precisare di non voler essere strumentalizzati da coloro che temono e attaccano l’uscita dai canoni maschili e femminili. Si ritengono un’associazione apolitica e aconfessionale.


I racconti dei genitori

«A 15 anni ho accompagnato mio figlio in un centro sanitario riconosciuto sulla disforia di genere. Gli hanno consigliato di iniziare la transizione sociale e darsi un nome di donna», racconta una madre del gruppo. «L’ ho accompagnata – prosegue – a comprare abiti femminili, reggiseni imbottiti e trucchi. E il giorno dopo si è presentata a scuola come ragazza». In quel momento, raccontano i genitori, la figlia ha iniziato a stare meglio, ad avere più autostima e serenità. Ma la sua neuropsichiatra, a un certo punto, ha iniziato a sospettare sulla sua reale disforia iniziando a ipotizzare che fosse «frutto di un’ossessione». «Ora che è passato del tempo sta spontaneamente regredendo nel suo proposito di transizione. Mi ha detto che fino a quando non finisce il liceo non può certo fare passi indietro, visto quanto si è esposta con i compagni. All’università ci penserà e forse tornerà a vestirsi da maschio», riferisce la madre. Che si chiede: «Cosa sarebbe successo se avesse iniziato con i farmaci?».


Il timore dei farmaci e la posizione della comunità scientifica

Ad accomunare i genitori dell’associazione è proprio questo interrogativo e questa contraddizione. Sono sereni all’idea che il proprio figlio o figlia desiderino cambiare genere. Ma si pongono dei dubbi quando si tratta di interventi ormonali o chirurgici in un’età come quella adolescenziale. «Vorrei che le decisioni irreversibili le prendesse in una fase di maggiore maturità». È la frase che ritorna nei racconti. La questione si inserisce in un attuale dibattito aperto nella comunità scientifica che vede contrapposti psicanalisti ed endocrinologi. Nelle scorse settimane la Società Psicanalitica Italiana (Spi) ha scritto una lettera al Governo in cui esprimeva preoccupazione per l’uso dei farmaci che bloccano lo sviluppo della pubertà. A cui è seguita una replica di andrologi, endocrinologi e pediatri. I quali hanno tenuto a sottolineare come non si tratti di terapie in via di sperimentazione, ma approvate e sostenute da ricerche e raccomandazioni scientifiche.

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