Perché i medici non potranno salvare la vita a Cospito se peggiora

Il garante dei detenuti del Lazio, Anastasia spiega a Open: «La sua volontà è chiara, non possono obbligarlo a curarsi»

Se le condizioni di Alfredo Cospito, detenuto al 41bis in sciopero della fame, dovessero peggiorare, i sanitari che prestano servizio in carcere non potranno salvargli la vita. Dovranno invece rispettare la scelta, comunicata anche in una lettera spedita dal suo avvocato Flavio Rossi Albertini al Dap 20 giorni fa e resa nota solo oggi, di non essere sottoposto ad alimentazione forzata. Non ha dubbi sul punto Stefano Anastasia, garante dei detenuti del Lazio e coordinatore della Conferenza nazionale dei garanti: «In questo caso non valgono le leggi della prigione – spiega a Open – ma le leggi dello Stato. Si prevede un trattamento sanitario obbligatorio quando il cittadino non è cosciente o consapevole. Cospito ha dato chiaramente delle disposizioni su come vuole essere trattato, sarebbe un abuso non rispettare la sua volontà».


Secondo alcune ricostruzioni, in caso di peggioramento del quadro sanitario non è chiaro cosa dovranno fare i medici in servizio ad Opera, il carcere dove l’anarchico Cospito è attualmente detenuto. Non la pensa così Anastasia che anche docente di Filosofia del diritto (e fondatore dell’associazione Antigone) che valuta il quadro estremamente chiaro: «L’alimentazione forzata è un trattamento sanitario obbligatorio: può essere fatto solo ad una persona incosciente che non ha manifestato di voler essere lasciato in quella situazione. Quella di Cospito, invece, è a tutti gli effetti una dichiarazione anticipata di trattamento. E comunque, anche se non avesse sottoscritto nessun documento, se fossimo in una situazione precedente alla legge che la regola del 2019, tipo Eluana Englaro per intenderci, non cambierebbe molto: ormai abbiamo plurime attestazioni della volontà di Cospito. Non è l’atto depositato il punto».


Il riferimento di Anastasia è al caso della ragazza che rimase attaccata ai macchinari per anni fino ad una sentenza della Cassazione che ha poi aperto alla possibilità di poter decidere del proprio destino in caso di incoscienza, attraverso la «disposizione anticipata», o testamento biologico. Il caso di Eluana, vissuta in stato vegetativo attaccata alle macchine dal 1992 al 2009, fu dibattuto per anni con sentenze contrapposte che discettavano su quando e come la ragazza avesse espresso la propria volontà: «Eluana aveva lasciato intendere ai familiari di non voler essere attaccata ad un macchinario. Per Cospito tutta l’Italia sa che non vuole essere obbligato ad alimentarsi». In sintesi, dunque, secondo Anastasia, prevale la volontà della persona rispetto all’obbligo per i sanitari di salvare la vita ai pazienti: «O si stabilisce che non ci si può fare del male e si punisce il tentato suicidio, oppure davanti alla volontà dichiarata bisogna fermarsi».

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